Quella pistola puntata sul cuore
«Lavoravo presso un’importante concessionaria d’auto, in una grande città del Nord Italia. Ero responsabile dell’assistenza di tutto il parco macchine, e alle mie dipendenze c’erano trentacinque persone. Al cambio di proprietà della concessionaria, tutto restò come prima, senonché dopo alcuni mesi, il nuovo titolare mi propose di fare insieme a lui “un affare” interessante. Si trattava, mi spiegò, di “lavorare su alcune garanzie fasulle per ottenere dei rimborsi da capogiro”. Lo guardai meravigliato, non mi aspettavo dal mio nuovo datore di lavoro una proposta del genere. Gli dissi di non essere disponibile, e decisi subito di lasciare quel lavoro». Gianni è in pensione e con calma e fermezza mi racconta fotogrammi di quello che è stato il suo lavoro.
Lunghi anni vissuti nella trasparenza e nell’onestà. Ai tempi del lavoro in concessionaria, Gianni fruiva di uno stipendio molto buono che permetteva a lui e alla sua famiglia, moglie e due figli studenti universitari, una vita sopra la media. «Cambiai lavoro, ma restai nell’indotto delle auto. Mi iscrissi all’albo dei periti assicurativi. Naturalmente – racconta – lo stipendio si abbassò di parecchio, ma andava bene lo stesso. Dovevo solo cambiare il mio stile di vita, il mio modo di atteggiarmi: non era una fatica, era quello che preferivo e mi faceva essere più vicino a molti del mio condominio. Tra faldoni, carte e perizie il lavoro andava avanti e avevoa che fare ogni giorno con gli incidenti, che diventarono il mio lavoro quotidiano».
«Contatti tra periti delle varie compagnie di assicurazioni, constatazione dei danni e liquidazione dei sinistri, questo era quello che facevo. Un giorno – allora ero ancora agli inizi e poco “scafato” – una persona mi propose di prendermi parte di una responsabilità con lui, su una questione poco chiara, riguardo a un fatto di cui non ne sapevo nulla. E tantomeno non ne volevo sapere nulla. Insisteva, ma non mi pareva proprio il caso. Lui insisteva, assicurandomi che niente sarebbe stato scoperto. Una domenica mattina, tornavo da messa e ricevetti sul cellulare una chiamata. Era un senatore che conoscevo, mi chiamava per quel caso……chiedendomi se fossi disposto a prendermi tutta la responsabilità, lui era disposto a tirarmi fuori completamente da tutti gli eventuali guai, e così si sarebbero salvati capra e cavoli. Me lo chiese anche una seconda volta e nuovamente confermai che quello che avevo da dire l’avevo detto. Confermai con fermezza e decisione e chiusi la chiamata. Il risultato fu che persi nel giro di pochi giorni il 70 per cento del lavoro».
Gianni racconta questi fatti con la semplicità di chi sa che ogni cosa è in mano alla “provvidenza" e che operando nella legalità e per la giustizia, non potrà mancare l’aiuto. «So -mi dice- che fidandomi ogni cosa va al posto giusto». E così, dopo alcuni mesi, a Gianni arrivò altro lavoro improvvisamente, senza che l’avesse cercato. Tra colleghi ci si aiuta, si passano i clienti e fare o scambiarsi favori è pura cortesia. «Ma quando uno di questi mi propose la liquidazione di un sinistro da 10 milioni di lire, andai a vedere l’auto incidentata e… la mia valutazione non superava un valore di 250 mila lire. Mi opposi decisamente e me ne andai. Alle dieci sera stavo per andare a letto, quando ricevetti una telefonata. Un signore mi chiese se fossi il perito che aveva sottovalutato il danno della sua auto. Confermai e assicurai che il danno non superava le 250 mila lire».
Erano le quattro di notte quando scattò l’antifurto dell’ufficio: la porta d’ingresso stava bruciando. I vigili del fuoco confermarono che si trattava di incendio doloso. Passarono i mesi, gli anni e Gianni era sempre più impegnato nel vivere l’onestà, il comportamento corretto. «Anche se ho imparato a “masticare”, prima durante e dopo i pasti, la parola perdono, non è mai una cosa scontata. Devo sempre ripropormelo. Perché so che è l’unica parola vincente».
Ci sono tante altre “avventure” vissute da Gianni, come il ritrovamento dell’auto dell’amante di un armatore: un fatto che volevano fosse denunciato come furto anche se non lo era. Con la pistola puntata sul cuore perché confermasse il furto e il suo rifiuto. E le minacce alla moglie e ai figli, con telefonate di giorno e di notte. La paura, ma anche la ferma convinzione che cedere era arrendersi. Allora, i tanti tentativi per convincere chi era dall’altra parte che lavorare per la legalità costruisce innanzitutto te come persona e poi contribuisce a costruire un mondo dove i rapporti sono più veri, più giusti. Quel mondo che ogni uomo vorrebbe abitare.