Quella certa idea di Stato che ha prodotto il caos
Non si può affrontare la questione azzardo in Italia senza cercare di rispondere sulla radice di quelle cause strutturali che hanno permesso il prevalere di certi poteri, l’impotenza della politica e il lento ma deciso risveglio della società civile responsabile. Con Mauro Vanetti del Collettivo Senza Slot di Pavia, abbiamo cominciato un dialogo a partire dalle ragioni che hanno mosso all’impegno diretto una realtà espressione della sinistra più radicale.
Nella prima parte dell’intervista ci siamo lasciati davanti all’affermazione di Vanetti secondo il quale l’origine dell’esplosione dell’offerta di azzardo in Italia si trova nella ricerca da pare dello Stato di fonti di finanziamento dalla fascia più povera e fragile della popolazione «piuttosto che puntare sulla tassazione dei redditi più alti».
Seguendo questa ricostruzione dei fatti, cosa è dunque avvenuto nel nostro Paese?
«Il capitale privato cercava occasioni di profitto relativamente sicuro in un contesto in cui si andavano esaurendo le possibilità di investimenti produttivi profittevoli. Ci insegna Marx che il capitalismo ha una tendenza intrinseca al calo del saggio di profitto, che nel caso migliore spinge i padroni a innovare per ricostituire dei margini di utile sufficienti, ma li spinge anche ad aumentare lo sfruttamento (che per loro è una forma di innovazione…), a fare le guerre, a distruggere le forze produttive e a gettarsi sulla speculazione. Il capitalismo italiano, privo di una visione strategica e storicamente attratto da soluzione cialtronesche, non poteva che provare a fare il colpaccio. Ma c'era un ostacolo da superare».
Quale?
«La popolazione italiana è tradizionalmente poco propensa al gioco d'azzardo di tipo moderno. Abbiamo sempre avuto il lotto, il totocalcio, ma erano cose diverse. Indebitarsi per sciupare stipendi e pensioni a una macchinetta era vista come "un'americanata" fino a pochi anni fa. Ed ecco così il colpo di genio: trasformare le scommesse sportive "lente" in un'ossessione frenetica e priva di competenza tecnica, trasformare le tombolate di parrocchia o di sezione nella "catena di montaggio" del bingo e soprattutto trasformare tutti i bar e le tabaccherie d'Italia in microcasinò imbottiti di macchinette. Con questi trucchi e una colossale campagna pubblicitaria e di sponsorizzazioni hanno reclutato milioni di persone all'azzardo industrializzato».
E come funzionerebbe questo meccanismo?
«Questo esercito di giocatori d'azzardo "lavora" anche nel tempo libero per pagare allo Stato e al capitale queste entrate parassitarie dopo che lavora già il resto della giornata per ingrassare le stesse entità. Ovviamente, siccome l'azzardo non produce nulla ma si limita a spostare ricchezza dalle tasche di molti a quelle di pochi, questo sistema non crea né sviluppo né progresso e di fatto accelera il declino. L'aspetto più distopico di tutto questo è che l'azzardo, oltre a contribuire al degrado e al declino della società, si estende proprio grazie a questo contesto negativo».
Con quale dinamica?
«Sia il senso comune sia gli studi scientifici dimostrano che vivere in un contesto poco gratificante distorce la capacità di valutare quanto sia irrazionale affidarsi al "colpo di fortuna" per migliorare la propria condizione. Se l'occasione fa l'uomo ladro, la mancanza di opportunità fa l'uomo superstizioso.
Il capitalismo in crisi, che sembra a milioni di persone una specie di divinità capricciosa che può ridurti in miseria, farti perdere il lavoro e la casa o trascinarti in una guerra senza nessuna spiegazione, incoraggia il gioco d'azzardo di massa proprio nei ceti popolari».
Quale soluzione vi sembra proponibile per gestire in modo alternativo il cosiddetto gioco d’azzardo?
«Secondo noi la soluzione è "sminare il terreno": bisogna fare uno sforzo che non sia fatto semplicemente di divieti ma di veri e propri investimenti nella costruzione attiva di un'alternativa. Non basta vietare le mine antiuomo, bisogna andare a bonificare i campi minati, e oggi le nostre città sono campi minati pieni di azzardo.
Il primo passo è togliere al capitale privato il diritto di lucrare sull'azzardo: lo Stato deve essere monopolista dell'azzardo e le ricchezze accumulate in modo più o meno lecito dai "latifondisti del gambling" devono essere espropriate per l'interesse collettivo.
Il secondo passo è togliere allo Stato stesso il diritto di lucrare sull'azzardo: non è accettabile che con la scusa di finanziare Pompei o L'Aquila o qualche altra iniziativa benefica le finanze pubbliche si reggano su un business come questo, che diventa una specie di tassa ultraregressiva sui ceti meno abbienti. Lo Stato deve gestire l'azzardo come un problema da far estinguere, un centro di costo e non un'occasione per fare entrare. Questo è l'unico modo per incentivare la politica a liberarsi del problema e per impegnare lo Stato nella distruzione del gioco d'azzardo clandestino invece che nella ricerca di un modo per "convivere con le mafie" come disse qualcuno».