Quel “nemico” in ufficio
Molti hanno della Svizzera l’idea di un Paese tranquillo, ordinato, dove tutto funziona quasi alla perfezione, soprattutto una volta passato il Gottardo. Sì, è vero, l’ho sperimentato anch’io quando, orologio alla mano, il tram arriva all’orario giusto, scendi, prendi l’SB (la metropolitana), ridiscendi, percorri il sottopassaggio e dall’altra parte della strada trovi già il bus che ti porta a destinazione. Il conduttore saluta e ringrazia i viaggiatori, augurando a tutti una buona giornata. E non è solo questo un aspetto positivo per tutti. Sono rimasta stupita con quanta gentilezza vieni servita nei negozi o ti risponde la segretaria degli uffici pubblici se hai bisogno di un’informazione. Sicuramente non ti fa girare come una trottola da un posto all’altro, mentre l’appuntamento dal medico o dal dentista è preciso e non devi aspettare, se non in rari casi con le mille scuse del personale.
Insomma, in meno di quindici minuti raggiungo il punto dove ci siamo date appuntamento io e la mia amica che da tempo non vedo. È una mamma con quattro figli di cui tre sposati e uno studente, ma il suo volto è giovane, il sorriso aperto, gli occhi luminosi come sempre. Abbiamo condiviso trent’anni di amicizia sempre più profonda, vera, superando le inevitabili prove della vita, la morte improvvisa del coniuge, le scelte dei figli e sospensioni, speranze, paure. Ma il credere all’amore ha sempre finito per trionfare.
Che gioia quindi rivedere Teresita che, senza por tempo in mezzo, guarda al lontano e recente passato e racconta: «Chi l’avrebbe mai detto che dopo un periodo relativamente calmo della nostra vita di famiglia, tutto potesse prendere un’altra direzione? Superato il licenziamento di mio marito, direttore di un’azienda più volte salvata, ma alla fine mandata in malora dalla cattiva gestione dei proprietari, visto che Ezio ormai a cinquant’anni non aveva più la possibilità di trovare un lavoro nel nostro piccolo ambiente ticinese, ci siamo messi a fare dei conti e abbiamo costatato che, date le sue capacità e competenze nel campo dei sistemi di riscaldamento e ventilazione, forse ce la potevamo fare a mettere su una piccola azienda in proprio, utilizzando quello che poteva essere il suo capitale pensionistico. Come avremmo potuto altrimenti andare avanti con quattro figli studenti?
Ezio era conosciuto e stimato e molti rimpiangevano il suo licenziamento. Infatti, iniziata la nuova attività, sembrava tutto proseguire bene, e i clienti che avevano avuto rapporti con la precedente ditta non esitavano a rivolgersi a lui; ma un giorno, ecco arrivare il cambiamento di rotta: Ezio muore improvvisamente proprio sul posto di lavoro ed io lo soccorro, arrivata giusto in tempo per ripetere insieme a lui l’ultima rinnovata e comune offerta alla volontà di Dio. Ezio si spegne subito dopo aver detto il suo “sì”.
«Difficile descrivere il concitato periodo che è seguito. Mi sono trovata a far fronte ai problemi dell’azienda che desideravamo impostare secondo l’Economia di Comunione (io aiutavo come segretaria, mentre continuavo anche a seguire la casa, i figli). È stato uno choc, ma accompagnata dalla fede che anche quest’avvenimento faceva parte di un disegno ancora misterioso del Padre e da tante persone che condividevano sinceramente la nostra situazione, ero spinta a guardare in faccia la realtà e a proseguire l’opera iniziata, anche se completamente sprovvista di conoscenze contabili e di gestione aziendale.
«In quel momento lavoravamo con due collaboratori, uno dei quali, Mario, aveva avuto serie difficoltà. Per fargli ritrovare fiducia in sé e nella società, lo avevamo assunto. «Con la morte di Ezio, unico direttore, vacilla tutta l’azienda. È un anno difficilissimo poiché tutti i contratti di lavoro sono sospesi e il nuovo direttore assunto ha bisogno di tempo per riconquistare i clienti. Per non compromettere la delicata situazione di Mario, che mi chiede di poter rimanere a lavorare, anche se non ci sono entrate decido che resti. A venirmi incontro concretamente come fossi una sorella, facendomi intravedere un’uscita dal tunnel, è soprattutto un amico industriale di Milano, profondamente scosso della partenza improvvisa di Ezio. Gli sono grata per questo aiuto che mi fa toccare con mano l’intervento diretto della Provvidenza, che sa ciò di cui abbiamo bisogno.
«Dopo un anno, l’azienda sembra riavviarsi positivamente: arriva il lavoro e dobbiamo assumere altre forze lavorative. Io mi occupo della direzione insieme a due nuovi soci, fra cui Mario, che si rivela sempre più capace, brillante, con tanti talenti. Gli anni passati sembrano un brutto sogno.
«Tutto procede bene in lui finché avviene un repentino cambiamento: diventa malcontento, scontroso. Comincia un periodo difficile sia in famiglia che in ufficio, soprattutto nei miei confronti. I litigi con la moglie sfociano in un divorzio. Io avverto il disprezzo che nutre verso di me; niente gli sta bene di tutto quello che faccio. Non mi saluta, trascura di trasmettermi le informazioni necessarie per lavorare. I messaggi telefonici e le email, nei quali vengo apostrofata come una pazza egocentrica che si “lega tutto al dito” o che mi augurano di "dormire bene” mentre sto lavorando sodo, mi sgomentano e finiscono per angosciarmi al punto tale da farmi perdere il sonno.
«Nel frattempo lui subisce un delicato intervento chirurgico e non può più lavorare. Sono rattristata per la sua salute, ma per me è un sollievo non dover più far fronte al peso psicologico della sua presenza. Seguo la situazione con discrezione e cerco ogni occasione per fargli arrivare la mia vicinanza attraverso piccole cose: per il suo compleanno, a nome di tutti i colleghi, organizzo una festa con la torta che più gli piace.
«Col peggiorare della salute, chiede che gli sia riconosciuta l’invalidità. Ma il tempo passa e non arriva nessuna decisione in merito. Una mattina mi arriva un suo messaggio: ho quasi timore a leggerlo. È un appello di aiuto. Mario scrive che l’ufficio invalidità non può prendere decisioni perché mancano alcuni documenti. In un baleno ripenso a tutte le ore già spese per l’invio delle informazioni necessarie, non capisco cosa posso fare di più. Senza contare che il lavoro che mi aspetta è proprio tanto, mentre il tempo a disposizione è sempre così poco.
«La prima reazione è quella di liquidare velocemente la richiesta: non posso fare più di quel che ho già fatto! Ma dentro non mi sento soddisfatta e penso alla Parola di Gesù: “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano”. Lascio il mio lavoro e mi metto al telefono. Dopo ore riesco ad avere una visione chiara di quanto successo: siccome Mario era anche socio di un’altra ditta, era da lì che sarebbero dovuti arrivare i documenti mancanti. Mi reco in quella ditta. Anche loro sono oberati di lavoro e inoltre anche poco competenti in queste faccende; qualcuno ricorda di aver ricevuto la documentazione, ma non sapendo cosa farne l’aveva cestinata.
«Mi metto al lavoro e compilo, al posto loro, i formulari: così, a metà pomeriggio, i documenti sono all’ufficio postale. Tornata finalmente in ufficio, rispondo a Mario per rassicurarlo. Mi dà gioia l’inaspettato “grazie” che subito segue! Non ricordo sia successo prima! Tornata a casa, mi invade una felicità che mi sorprende: da tempo avevo cercato di perdonarlo, ma di tanto in tanto riaffiorava forte e amaro il rancore per come ero stata trattata. Ed ecco, era bastato un atto di donazione senza riserve per far nascere in me il perdono e la pace».
Saluto Teresita che mi ha nuovamente fatto un dono grande con la sua venuta e, accompagnandola con il pensiero, concludo che sì, è importante sapere che anche in questo splendido Paese, tutto montagne e laghi, ordine e tranquillità, c’è chi soffre, chi lotta per un posto di lavoro, per salvare una relazione, per guarire la piaga della solitudine e, chissà, spesso anche quella fame che non si vede, ma c’è.