Quel libro sotto l’ombrellone
Sicuramente già il titolo “Perché insegno? Perché ci credo” cattura immediatamente l’attenzione di un lettore, interessato all’ambiente scolastico come docente o come persona affezionata a quel mondo o ai ragazzi, che ne sono l’anima! C’è da aggiungere che leggendo quali sono gli autori di questo testo, si é ancora più invogliati a leggerlo: Michele De Beni, psicoterapeuta, pedagogista, professore di Programmazione e Valutazione dei processi formativi, co-direttore della Collana “Percorsi dell’educare”; e Claudio Girelli, pedagogista, professore di Pedagogia sperimentale all’Università di Verona, direttore del corso di Laurea in Scienze della Formazione primaria.
In realtà, ai suddetti autori, De Beni e Girelli, che già potrebbero bastare per la loro bravura e competenza, se ne aggiungono altri dodici, alcuni vincitori del Global Teacher Prize, i quali ripercorrono momenti di vita vissuti a contatto con bambini o ragazzi.
Insegnare è il mestiere più difficile, ma bello del mondo se svolto con entusiasmo e passione! Io ho avuto una grande fortuna: nascere con il desiderio di fare l’insegnante. Già con bambole e bambolotti, i miei primi, inconsapevoli alunni, avevo trasformato la mia cameretta in un’aula scolastica con lavagna e gessetti colorati. C’era il momento dell’ appello, della spiegazione, dell’interrogazione, della ricreazione e perfino quello finale, con sgridate e premi.
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere, ho insegnato per 38 anni in un liceo scientifico della mia città e ho scoperto, andando in pensione, qualche anno prima del tempo, che si rimane insegnanti per sempre. Quando penso alla Scuola, ai miei scolari con cui si sono creati legami duraturi, mi batte ancora il cuore. Perciò appena ho sentito parlare di questo libro, ho deciso di acquistarlo.
Un mattino presto, i primi di agosto, ero vicino al mare e mentre lo leggevo, si è avvicinata, incuriosita dal titolo, una giovane insegnante delle Medie, abruzzese, con una coppia conosciuta in albergo, lui triestino, professore dell’Ipsia e lei torinese, professoressa in un liceo classico. Seduti su un lettino con davanti il mare stupendo della Calabria, dopo le presentazioni, abbiamo incominciato a leggere l’introduzione di De Beni: che meraviglia!
“I giovani hanno un bisogno vitale di testimoni credibili e portatori di speranza… L’ incontro con un vero maestro può davvero cambiare la vita… Gli insegnanti dovrebbero porsi una domanda: Qual è la mia, la nostra identità? Qual è la mia, la nostra eredità per il futuro dei giovani?… Trovarsi di fronte al grande compito educativo interpella la coscienza e spinge a trovare i motivi e i percorsi adatti ad incontrare i propri allievi come persone, prima ancora che come studenti”.
Ci siamo guardati, commossi e grati, confrontandoci su quanto letto anche alla luce della nostra esperienza sul campo. Ci siamo ritrovati a voler a tutti i costi intraprendere questo viaggio con Michele De Beni e gli altri autori, perché i nostri ragazzi ce li portiamo dentro, come un tesoro, anche quelli che ci hanno fatto tribolare, che non ci potevano vedere, che ci hanno messo in crisi, ma che ci hanno costretto ad imparare, a ricominciare, a prendere coscienza dei nostri sbagli, dei nostri attaccamenti ad un modo di fare scuola antiquato. E così, pur in vacanza, per il bene dei nostri studenti, decidiamo di ritrovarci l’indomani mattina al bar, così dopo la colazione “gustiamo” queste pagine di vita.
Ogni giorno, a noi quattro si è aggiunto qualche educatore, in cerca di luce, di consigli, di confronto, desideroso di fare tesoro di ogni pagina. Siamo arrivati a 10 e non è cosa da poco continuare a parlare di scuola in ferie. Questa lettura ad alta voce, seguita da un mettersi a nudo con semplicità, ci ha legato per sempre. Ci siamo raccontati gioie e dolori vissuti nel tempo ed è venuto fuori uno spaccato di vita scolastica dalle mille sfaccettature.
Perché la buona scuola è soprattutto relazioni tra i docenti fra loro, tra docenti e genitori, tra docenti e studenti, tra studenti e ogni singolo componente dell’ambiente scolastico: bidelli, personale impiegato in portineria, nella mensa, nel bar durante la ricreazione, nelle pulizie.
Grazie per aver sottolineato che il fondamento stesso dell’educare è l’amore facendoci venire in mente Don Bosco con la sua famosa frase: “L’educazione è cosa del cuore”. Grazie per l’invito ad avere un atteggiamento di ascolto verso ogni studente per cogliere il suo sforzo, non sempre seguito dai risultati, soprattutto se si tratta di ragazzi in grosse difficoltà. Ci avete fatto ricordare Don Milani: “Se si perdono i ragazzi più difficili, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge gli ammalati”.
Questo libro, che definiremmo Manuale per educatori in cammino, ci fa ripercorrere tappe e momenti significativi della nostra vita scolastica: sostiene, dà coraggio anche quando fa capire chiaramente gli sbagli compiuti da ciascuno. Viene riportata anche l’amara constatazione di Keishia Thorpe, un’insegnante americana: “In realtà non abbiamo molta credibilità e ci facciamo carico di molto. Gli studenti vengono nelle nostre aule e noi siamo madri, consiglieri, siamo insegnanti, siamo coach, e non credo che otteniamo l’attenzione che ci meritiamo”. A questa di Keishia, si aggiunge la frase di Andria Zafirakou: “Invito tutti, dai politici ai genitori, a sostenere gli insegnanti”.
Queste pagine ci hanno arricchito enormemente come educatori, ma soprattutto come persone. La chiarezza, la profondità, la passione che questo testo prezioso trasmette, ci ha reso consapevoli del nostro ruolo e ci ha reso più forti, più desiderosi di dare il meglio di noi, grazie all’aiuto degli stessi studenti e di tutti i componenti di questa nostra società in continua evoluzione.
Grazie!
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