Quel gatto cinese

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Se la storia della Cina negli ultimi vent’anni si contraddistingue per le aperture al mondo esterno e per l’attuazione della cosiddetta “economia di mercato socialista”, la drammatica ed epocale trasformazione che essa sta oggi attraversando pare non avere precedenti nella sua storia millenaria. E non solo a causa dell’etica confuciana pervasa di laboriosità e tenacia, che insegna la perseveranza di fronte alle avversità. Infatti l’elemento critico di questo radicale cambiamento è il pragmatismo del popolo cinese, che supera qualunque considerazione di natura ideologica o retorica. Proprio come recita un proverbio cinese reso popolare da Deng Xiaoping: “Non importa che un gatto sia nero o bianco, purché catturi i topi”. L’inversione di marcia della politica economica ha così dato libero sfogo allo “spirito d’iniziativa” e al “fiuto imprenditoriale” rimasti a lungo sopiti nella gente. E così ora tutti si sentono sotto pressione e si muovono freneticamente per recuperare il tempo perduto, particolarmente in campo economico. L’affermazione del governo che “la qualità della vita del popolo cinese non è mai stata così buona come adesso” viene rifiutata nettamente dalla maggior parte degli osservatori esterni come pura propaganda. Tuttavia molti, anche tra i critici e gli scettici, ammettono che i frutti della riforma sono visibili ovunque e non possono essere negati. Ma mentre risulta facile scorgere quel che è sotto gli occhi di tutti, come lo sviluppo vertiginoso di molte città cinesi con i loro rilucenti grattacieli, è più importante conoscere il pensiero della gente comune per poter tastare in maniera più realistica il polso della nazione in questo preciso momento storico. I problemi seri sono molteplici e ben conosciuti, e alcuni in fase di deterioramento. Solo per nominarne alcuni: la corruzione dilagante; il culto del denaro; la perdita dei valori morali tradizionali; il divario sempre più pronunciato tra ricchi e poveri e tra le prospere province costiere e l’interno diseredato; la crescente inquietudine sociale tra i disoccupati, il cui numero sta aumentando ora che la Cina fa parte dell’Organizzazione mondiale del commercio e anche a causa dell’attuale processo di privatizzazione delle imprese statali. Nonostante tutte queste sfide che, se mal gestite, potrebbero portare anche a conseguenze catastrofiche, la maggioranza della popolazione sembra essere d’accordo che, a conti fatti, la direzione di massima verso la quale la nazione è incamminata risulta accettabile. Il pensiero prevalente è che non esista nessun’altra ovvia alternativa che assicuri un successo o produca risultati migliori. Grazie alla considerevole crescita economica e al conseguente miglioramento del tenore di vita, anch’esso in costante crescita, la gente gode di una maggiore libertà personale. La vita presenta ora un ampio ventaglio di opportunità e scelte entusiasmanti che non erano nemmeno immaginabili fino a poco tempo fa. A causa del nuovo benessere la gente è più fiduciosa e guarda al futuro con ottimismo. La prosperità economica ha però un prezzo: tutto quello che viene visto come una minaccia alla stabilità sociale, o all’attuale regime – come suggerito da alcuni – viene prontamente soppresso. Mentre il settore editoriale è in piena fioritura, con libri e riviste che invadono il mercato, i mezzi di comunicazione in generale operano in ossequiosa obbedienza ai dettami governativi. Tutti i gruppi religiosi sono obbligatoriamente sottoposti alla supervisione del governo. 1 gruppi spirituali o semi-religiosi di dubbia credibilità sono condannati alla stregua di “sette diaboliche”. La gente comune, la cosiddetta maggioranza silenziosa, pare disposta a pagare questo prezzo, considerato come un male minore nel laborioso e lungo processo di transizione. “Non si possono aiutare i germogli a crescere tirandoli verso l’alto” recita un altro detto cinese che ammonisce contro la fretta e l’impazienza nell’ambito di un processo di crescita. L’ossessione per la stabilità sociale può essere meglio compresa inquadrandola nel contesto storico. Quasi tutti hanno terribilmente sofferto, in un modo o nell’altro, gli eccessi del “Grande balzo in avanti”, della “Rivoluzione culturale” e delle altre campagne politiche che hanno inflitto loro grandi sofferenze e patimenti indicibili. Nessuno vuole che si ripeta il caos del passato. Soltanto con il tempo e una saggia gestione delle questioni nazionali più cruciali la Cina può progredire verso la meta proclamata dal governo e che sta indubbiamente a cuore a tutti i cinesi: essere una nazione stabile, aperta e prospera. 1 segni dei miglioramenti verso questa direzione, per quanto possano apparire piccoli o lenti per gli standard occidentali, agli occhi dei cinesi risultano certamente incoraggianti. La Cina si sta sviluppando in primo luogo economicamente, per poi puntare ad uno sviluppo sociale e quindi ad uno politico. Ci vorrà il suo tempo, ma il programma politico governativo intende seguire quest’ordine e soprattutto mantenere la conformità alla propria “storia e cultura e alle condizioni nazionali prevalenti”. Il piano di sviluppo gode del tacito appoggio del popolo. Le esperienze negative vissute nei paesi ex-comunisti dell’Europa Orientale per aver iniziato con riforme radicali e con le cosiddette “terapie choc” rafforzano ulteriormente la convinzione di scegliere uno sviluppo a tappe graduali. Corea e Taiwan vengono indicate come un esempio di sviluppo. Entrambe sono rimaste dittature militari fino a quando non hanno raggiunto un livello considerevole di sviluppo economico. La democrazia è venuta come una conseguenza naturale. Molti stranieri, ma anche un certo numero di cinesi, non condividono questa prospettiva e premono per realizzare riforme politiche radicali e immediate. Accade quindi che una delle minacce alla stabilità sociale sia costituita dalle cosiddette “ingerenze straniere”. Governi, organizzazioni ma anche singoli individui stranieri criticano la Cina a proposito del suo sistema politico, dei diritti umani, della libertà religiosa, di Taiwan, del Tibet e di una pletora di altre questioni. Purtroppo la questione Cina nel suo insieme è troppo politicizzata nella comunità internazionale, al punto tale che è molto difficile, se non impossibile, affrontarla con serenità e ancor meno con obiettività, ciò che sarebbe essenziale perché la critica risulti costruttiva. Questo è vero in particolare nel caso della Cina, che si trascina un bagaglio storico incredibilmente pesante, non facile da comprendere. In effetti, chi mai può davvero capire la portata e la complessità di governare un paese così grande, e offrire un consiglio che nasca dall’esperienza? Coloro che criticano e fanno pressione sulla Cina potranno attribuirsi il merito del cammino della Cina verso una società più aperta e più libera, ma in realtà tali sviluppi fanno parte della strategia globale della leadership cinese. È invece possibile che un diverso approccio, in contrasto con gli obiettivi desiderati, provochi un effetto negativo e di conseguenza finisca per rallentare la fase di apertura del paese, nella misura in cui il governo reagisce alla percepita minaccia alla stabilità. Questa seconda ipotesi di un esito controproducente, benché probabile, risulta difficile da verificare. La sfida posta a coloro che davvero hanno a cuore il destino della Cina consiste dunque nel valutare la situazione cinese nel modo più giusto possibile e rendere costruttive le critiche. Si tratta di una sfida vera e propria, perché chi mai è in grado di determinare cosa è giusto e cosa è costruttivo? Molti cinesi si ribellano al modo nel quale viene rappresentata la Cina nei mezzi di comunicazione internazionali, dove i fatti vengono spesso riportati in maniera selettiva o sproporzionata o ricorrendo a due pesi e due misure per collocarla in cattiva luce. Questo approccio dei mezzi di comunicazione finisce con conferire credibilità all’affermazione per cui vi sarebbero secondi fini, con l’intento di far deragliare i piani di sviluppo e di frustrare l’emergere della Cina. Pur essendo scontato che tutti i paesi abbiano le proprie piattaforme politiche che, in alcuni casi, possono recare danno ad altri paesi, la sensibilità dei cinesi a questo proposito può essere meglio compresa – anche qui – nel contesto della sua storia. Le umiliazioni subite dalla Cina sotto le dominazioni straniere costituiscono una memoria ancora viva. Le ferite inflitte all’orgoglio nazionale non si sono ancora completamente rimarginate. Inoltre alcuni recenti avvenimenti internazionali hanno rafforzato questa percezione. Nonostante i timori riguardanti le “ingerenze straniere”, generalmente i cinesi provano ammirazione nei confronti dei notevoli progressi scientifici e tecnologici del mondo occidentale e di molti altri aspetti della sua cultura. Molti giovani cinesi sperano di conseguire (e alcuni ci riescono) un titolo accademico in uno di quei paesi. Un fenomeno degli ultimi anni è rappresentato dal ritorno di un consistente numero di coloro che alcuni anni fa sono andati all’e- stero per studi, per “cercare pascoli più verdi” o per altre ragioni. Al di là dei motivi specifici di una tale tendenza migratoria, si tratta comunque di un indicatore di una nuova fiducia nel futuro del paese: una fiducia che si è ulteriormente accresciuta in seguito a una serie di eventi come la scelta di Pechino a sede dei Giochi Olimpici del 2008, un Pil di tutto rispetto nonostante la crisi economica mondiale, ecc. Grazie a questa nuova fiducia il governo cinese è ora più assertivo nella sua politica estera, mentre gli stessi cinesi si permettono di criticare maggiormente il proprio governo, gli abusi di potere da parte dei dirigenti di partito, gli aspetti negativi della pachidermica burocrazia e i numerosi malanni che affliggono la società cinese. Il governo, da parte sua, sta cercando di porre rimedio a questi malesseri sociali con misure restrittive contro la corruzione, con la campagna mirata allo sviluppo delle più povere regioni occidentali del paese, con il miglioramento del sistema giudiziario per incrementare lo “stato di diritto”. Il successo di queste iniziative non è assicurato. Apparentemente, però, la gente è disposta ad offrire all’attuale leadership il beneficio del dubbio e sembra pensare che i massimi responsabili siano dei veri patrioti ed operino realmente per il bene del paese, anche se la corruzione ai livelli più bassi dell’amministrazione pubblica è un’esperienza di tutti i giorni. Dove sta andando la Cina? Questa è la domanda che si pongono i cinesi, in particolare la classe dirigente e l’intellighenzia. E anche se non sembra abbiano trovato una risposta definitiva, hanno però in mente alcuni punti di riferimento. Oltre alla propria esperienza passata e presente, sia positiva che negativa, prendono accuratamente nota di quanto è accaduto e sta accadendo nel mondo, e particolarmente in Asia, a causa della contiguità geografica e delle affinità culturali. In Asia, indipendentemente dal modello di governo in senso formale, molti paesi – forse la maggior parte – sono tuttora governati da un singolo partito politico dominante. Leader a capo di differenti sistemi politici hanno prodotto risultati simili per loro stessi e per le nazioni da loro guidate, nel bene e nel male: Marcos nelle Filippine, una democrazia asiatica molto simile a quella americana, e Suharto in Indonesia, hanno fatto la stessa fine; per contro, Deng Xiaoping, autore della riforma cinese, e Lee Kwan Yew a Singapore (criticato in occidente ma molto ammirato nella città-stato da lui fondata e in Asia in generale), sono riusciti a prepararsi dei successori attraverso una transizione di potere pacifica, con risultati notevoli e assicurando in tal modo una propria eredità da lasciare alla storia. Pur essendo considerato in occidente un regime totalitario, nel sistema cinese nessun leader gode di un potere che sia assoluto o in qualche modo paragonabile ai capi di governo occidentali. La loro è una leadership collettiva che si basa sulla “costruzione del consenso”; in un sistema politico che, secondo un parere diffuso in occidente, aiuta il regime a perpetuare la propria presa sul potere. Essi hanno invece i propri meccanismi di “pesi e contrappesi”. Nella misura in cui la gente diventa via via più esigente con i propri governanti, questi ultimi sono stimolati ad agire con più trasparenza e i funzionari a diventare più responsabili. Mentre sarebbe irrealistico aspettarsi che la Cina consegua, nel breve termine, gli stessi risultati che i paesi sviluppati hanno raggiunto in un periodo molto più lungo, i cinesi stessi hanno fretta di mettersi alla pari in tutti gli aspetti della vita: economici, sociali o politici. Benché nessuno lo dica apertamente, essi sono convinti che siano imminenti riforme politiche più progressiste. Si tratta di una nuova “Lunga marcia” che promette bene, a meno che, ovviamente, avvenga qualcosa di terribilmente disastroso. Per evitare ciò, nessuno vuole scompigliare le carte, e si preferisce lasciare che l’evoluzione pacifica prosegua. Per quanto possa sembrare strano agli occhi degli osservatori esterni, i cinesi non vogliono copiare alla lettera il sistema politico occidentale. Ufficialmente, il paese sta costruendo un “socialismo con caratteristiche cinesi “, qualunque cosa questo significhi. Questo però non è importante, dopotutto un nome è solo un nome. “Non importa che un gatto sia nero o bianco, purché catturi i topi” dicevamo. È il pragmatismo ad avere l’ultima parola. Quel che è importante osservare è che sta effettivamente emergendo – anche se lentamente – una società più civile. E si potrebbe certamente ipotizzare che il popolo cinese, che vanta la più antica civiltà senza discontinuità (cinquemila anni, o forse più) si dimostri sufficientemente saggio da prendere in mano il proprio destino e, nella qualità di responsabile attore internazionale, offra il proprio contributo alla pace e al progresso nel mondo, poiché, come recitano due altri proverbi cinesi: “sotto il cielo c’è un’unica grande famiglia “, e “nei “quattro mari” (cioè nel mondo) tutti sono fratelli”.

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