Quel diamante raggiunto da Tamberi
Quella di Gianmarco Tamberi è ben più di una storia di successo da raccontare. Agli amanti dell’atletica non sarà sfuggito come, prima dell’ultimo fine settimana, il campione olimpico del salto in alto sia riuscito a trionfare anche a Zurigo, laureandosi come primo italiano a vincere la Diamond League. Nella finale dello stadio Letzigrund, centrando la misura di 2,34, ha letteralmente fatto impazzire il pubblico con uno show straordinario, in pedana e fuori.
Per la cronaca, il saltatore delle Fiamme Oro, dopo il trionfo, ha pensato bene per festeggiare di tirare fuori la medaglia d’oro di Tokyo: messa al collo, avvolto in un tricolore, il campione ha iniziato a girare lo stadio concedendo foto e selfie al pubblico.
Il finale da incorniciare di una parabola pressoché perfetta anche a Zurigo dove, fino a 2,30, ha superato tutte le quote alla prima prova, poi ricorrendo al secondo tentativo per oltrepassare 2,32 e prendendosi anche un superlativo 2,34 al secondo assalto. Così, oltre al celebre trofeo creato dalla gioielleria Beyer, una sorta di istituzione a Zurigo, porta a casa anche i 30mila dollari del premio e chiude la stagione al primo posto nel ranking mondiale superando il bielorusso Nedasekau (bronzo a Tokyo). Quindi al “Weltklasse” riceve l’applauso di tutti gli altri big mondiali, durante e dopo i suoi salti: non solo degli altri campioni, ma anche del pubblico, competente e appassionato, che ad ogni salto si entusiasmava per il nostro “Gimbo”.
Terminato lo show in pedana con il successo a quota 2.34, ecco i selfie, gli abbracci, la corsa con il diamante tra le mani. Non lo aveva ancora vinto nessuno, tra gli italiani, ma questo simpatico showman della pista e dei ritiri olimpici che, a detta di tutti, non manca mai di supportare il gruppo, si è rivelato un trascinatore con pochi eguali nell’atletica mondiale. Tamberi diventa anche il quarto a vincere la propria gara al meeting di Zurigo dopo Cova, Panetta e Donato. Ma dietro questo spettacolo di luci alla ribalta, c’è una determinazione senza pari che dovremmo ricordare.
Proprio sulle nostre pagine, cinque anni fa, avevamo dato notizia di come, con un tweet che era tutto un programma, la Federazione italiana di atletica leggera (FIDAL) avesse celebrato, il 15 luglio 2016, uno degli azzurri più in forma: «#Atletica Gianmarco Tamberi ALTISSIMO!!! 2,39 a Montecarlo: RECORD ITALIANO ASSOLUTO!!! #HalfShave! GRANDE GIMBO!».
Poi, il dramma sportivo. La stella nascente si eclissò a causa di un gravissimo infortunio: il campione cadde male durante il meeting d’atletica leggera a Montecarlo e non potè partecipare così alle Olimpiadi di Rio de Janeiro in programma dal 5 agosto. Indimenticabili le sue lacrime sul suo “doppio volto” con barba incolta da una parte e rasata dall’altra: look duplice, come il suo stato d’animo, tra le stelle e le stalle.
Il cielo sembrava a un soffio, scrivevamo, dato che per il marchigiano il record di quel luglio arrivò al termine di una settimana apertasi con la medaglia d’oro europea rimediata ad Amsterdam. Quindi lo stop clamoroso, che avrebbe abbattuto probabilmente tanti alle soglie del sogno olimpico. «Svegliatemi da questo incubo. Ridatemi il mio sogno vi prego. Tutti questi anni solo per quella gara, tutti questi sacrifici solo per quel giorno… vorrei dirlo, vorrei urlarlo che tornerò più forte di prima, ma ora davvero riesco solo a piangere! Addio Rio, ADDIO MIA RIO» aveva scritto sui suoi profili social. Gimbo ci ha pianto su per un po’, poi però ha tracciato la rotta: Olimpiadi di Tokyo. Un primo intervento dopo l’infortunio, poi un secondo per qualche ossicino da rimuovere ancora, un anno dopo, senza mollare. Mai. Grazie anche al dottor Francesco Lijoi che dal 2017 lavora al Fisiology di Forlì, cui dopo la seconda operazione alla clinica Malatesta Novello di Cesena è arrivato il “grazie” dell’olimpionico in tv. «Ce l’abbiamo fatta insieme» ha scandito Tamberi, dopo avere scalato il suo calvario personale un centimetro alla volta, arrampicandosi sul tetto del mondo. “AirGimbo” sul tetto del mondo: è una storia che fa bene a tutti.