Quel che si scorge dai tetti in giù

Intervista a Franz Coriasco, autore dell’ultima biografia di Città Nuova sulla ragazza di Sassello prossima beata il 25 settembre, dal titolo "Dai tetti in giù. Chiara Luce Badano raccontata dal basso".
Dai tetti in giù

Lui è un noto autore radio-televisivo, scrive canzoni, pièce teatrali e collabora a tre testate: “Famiglia Cristiana”, “Città Nuova” e “Dimensioni nuove”. Ma c’è una vicenda nella sua vita che lo ha visto testimone, in veste di fratello della migliore amica di Chiara Badano, la giovane, prossima beata il 25 settembre al Divino Amore di Roma.

                                                          

Lui è Franz Coriasco, autore del libro Dai tetti in giù. Chiara Luce Badano raccontata “dal basso”, l’ultima biografia sulla ragazza di Sassello edita da Città Nuova. Uno spettatore, inconsapevole al tempo, e oggi narratore di quella straordinaria avventura, vista da una prospettiva originale: quella dell’agnostico.

 

Una storia che lo mette di fronte ad una faccenda scottante come quella della santità. Da ottobre sarà possibile gustare anche l’adattamento teatrale del libro, una via di mezzo tra musical, commedia e reading (sito www.daitettingiu.it). Lo abbiamo intervistato.

 

Iniziamo dalla fine, e cioé dall’ultimo capitolo, dove scrivi: «Oggi Chiara più di vent’anni fa, mi dà sollievo ogni volta che la penso: non illumina ma riscalda la mia oscurità». Cos’è cambiato in questi venti anni?

«Innanzi tutto è il mondo intorno ad esser cambiato. Un mondo che Chiaretta non avrebbe neanche saputo immaginare. Anche se i problemi, in fondo, sono sempre quelli: i miei come quelli di ogni altro essere umano. Certo rispetto a vent’anni fa, anche grazie a Chiaretta, ho imparato che il mondo si modifica attraverso i piccoli gesti quotidiani più che con le grandi imprese, e non si può pensare di migliorarlo senza partire da se stessi. Certo, in questi anni ho dovuto imparare a fare a meno di Dio, ma la nostalgia ancora la sento, e dunque non posso fare a meno di continuare a cercarlo: magari arrabbiandomi furiosamente per quelle che considero le Sue latitanze e le Sue omertà… Di certo ho dubbi più complessi di quelli di cui parlavo con Chiaretta, ma ultimamente devo dire che il suo ricordo mi sprona spesso a farne non un muro, ma piuttosto una breccia: per far sopravvivere la speranza che Qualcuno, da qualche parte, ci tenga d’occhio»

 

E ancora: «quando mi resi conto che per far bene il mio lavoro (di scrittura) avrei comunque dovuto provare a ricostruire un qualche rapporto con quella benedetta fanciulla: a prescindere da paradisi o beatitudini di sorta». In poche battute com’è stato il tuo rapporto con Chiaretta?

«Da ragazzina, per me era poco più di una mocciosa da tenere alla larga. Poi, durante la sua malattia anch’io non ho potuto fare a meno di riconoscerne la grandezza e la straordinarietà, restandone insieme turbato e affascinato. Ma è stato proprio grazie a questa sorta di “indagine” retrospettiva -della sua, ma per certi versi anche della mia vita- che l’ho ritrovata e scoperta davvero. E questa è stata forse la più grande lezione che questa vicenda mi ha insegnato. Perché troppo spesso tendiamo a catalogare le persone con troppa fretta o condizionati da troppi cliché che ci impediscono di scoprirle davvero, prima che sia troppo tardi»

 

Un episodio su Chiaretta ascoltato o vissuto in prima persona che più ha scavato nel profondo del tuo animo

«Ce ne sono un’infinità. L’ultimo me lo raccontava qualche settimana fa sua mamma (tant’è che nel libro non c’è). Una volta Chiara stava parlando con un ateo, uno di quelli duri: “Non so come fai – le diceva il tipo –". Io un Dio non riesco proprio a vederlo nella mia vita”. E Chiaretta: “Neanch’io. Però io lo vedo in te!”. Ecco, lei era fatta così: apparentemente naive, eppure assolutamente credibile. E poi c’era quel suo modo tipico di reagire quando le veniva chiesto qualcosa di impegnativo o di fastidioso: d’istinto lei partiva spesso con un no piuttosto deciso. Poi ci ragionava un po’ su, nel caso ci ripensava, e poi se ne usciva con una risoluzione categorica e definitiva. E’ successo così anche con la sua malattia: il suo sì a quell’immensità che sentiva che Dio le stava chiedendo non è stato immediato. Ma appena è riuscita a pronunciarlo, è stato per sempre: fino alla fine, senza ripensamenti o tentennamenti di sorta. Era una tosta, Chiaretta»

 

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Sempre della stessa casa editrice, Michele Zanzucchi, Io ho tutto. I 18 anni di Chiara Luce

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