Quel “centro” fuori di sé
Come liberarsi dalla "prigione" del proprio io?
La realtà in cui viviamo oppone quotidianamente difficoltà e impedimenti alla realizzazione dei nostri obiettivi, anche quando sono buoni e importanti. Tanto più se sono cristiani. Gesù ci aveva avvertiti: «Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15, 20). Ma le contrarietà e i condizionamenti esterni, per quanto ostinati, non sono decisivi.
Il condizionamento principale, infatti è soprattutto il nostro “uomo vecchio”. Noi viviamo centrati sull’“io” e spesso ne siamo totalmente catturati. Come liberarsi da questa prigionia? La psicologia e le scienze umane spiegano che ogni processo di crescita e di formazione è un processo di “liberazione” che passa attraverso una purificazione e una ascesi: conosci, domina, dona te stesso. Una vita veramente umana, infatti, è costituita da questi tre fattori.
Anche la saggezza filosofica ci ricorda che «l’uomo sorpassa l’uomo», perciò è sempre proiettato oltre, in modo “eccentrico”. Sì, l’essere umano cerca un centro “fuori di sé” che deve essere al tempo stesso garante della sua dignità e libertà. Ecco allora che l’essere umano “maturo” deve fare riferimento a qualcuno che stia più in alto di lui: a Dio.
Conoscere, dominare e donare sé stessi significa appunto conoscere Dio e mettere in pratica la sua volontà, dilatando i confini della mente e del cuore su quelli di Cristo. Egli, uomo nuovo e modello di santità ha messo in pratica la volontà di Dio fino all’estremo sacrificio di sé, trasformando ogni resistenza umana in dono, ogni sofferenza e dolore in amore. E poiché Dio (il Santo) è amore, la nostra santificazione passa attraverso l’amore concreto verso il prossimo.
Ma è venuto anche il tempo in cui la santità o appartiene a tutti o a nessuno. Ciò è frutto del cammino di cui la Chiesa sta prendendo sempre più consapevolezza, mediante la spiritualità di comunione. Il Santo, infatti, nella misura in cui è presente tra i suoi, può contagiare tutti. Perciò dobbiamo tendere sempre più a un santità collettiva, eliminando il rischio più grande nel cammino di santificazione: quello di far riemergere il nostro “io” narcisistico. Solo una santità vissuta insieme agli altri, in comunione reciproca, può dare veramente gloria a Dio oggi.
Così la nostra avventura umana, per essere credibile e luminosa dovrà passare nel crogiuolo di Dio amore che, vivo e presente tra i suoi discepoli, ci rifà nuovi in lui e nella relazione con i fratelli, trasformando la nostra vita davvero in una “divina avventura”.