Quel 7 dicembre del 1943
Era il 7 dicembre 1943…
«Chiara, ormai ventitreenne, mentre si reca a prendere il latte a un paio di chilometri da casa, in località Madonna bianca, al posto delle sorelline che avevano declinato l’invito della mamma per il troppo freddo, avverte, proprio sotto il ponte di una ferrovia, che Dio la chiama: “Datti tutta a me”. Chiara non perde tempo e con una lettera chiede il permesso di compiere un atto di totale donazione a Dio a un cappuccino sacerdote, padre Casimiro Sonetti. L’ottiene dopo un colloquio approfondito. È il 7 dicembre 1943, alle 6 del mattino si consacra. Quel giorno Chiara non aveva nessuna intenzione di fondare qualcosa: semplicemente “sposava Dio”. E questo era tutto per lei».
(da Chiara Lubich, Il cielo e l’umanità, di Michele Zanzucchi – Oreste Paliotti, Città Nuova 2009)
Chiara racconta quella data
«La chiesetta era adornata alla meglio. Sullo sfondo campeggiava una Madonna Immacolata. Prima della comunione ho visto, in un attimo, quello che stavo per fare: avevo attraversato un ponte con la consacrazione a Dio; il ponte mi crollava dietro le spalle, non sarei più potuta tornare nel mondo. Io mi sposavo, sposavo Dio. Ed era quel Dio che più tardi si sarebbe manifestato come abbandonato».«Quell’aprire gli occhi su ciò che stavo facendo – ricordo – è stato immediato, breve, ma così forte che mi è caduta una lacrima sul messalino. Credo di aver fatto la strada di ritorno verso casa di corsa. Mi sono soffermata soltanto vicino, mi sembra, al Vescovado, a comperare tre garofani rossi per il Crocifisso che mi attendeva in camera, sarebbero stati segno della festa comune»
«Mentre compio un atto di carità, avverto che Dio mi chiama a donarmi per sempre a Lui. Chiedo il permesso di un sacerdote. L’ottengo. È il 7 dicembre 1943. La gioia è inspiegabile, segreta, contagiosa. Per vari motivi avvicino giovani della mia età. Vogliono seguire la mia strada».
(Da Chiara Lubich, L’attrattiva del tempo moderno. Scritti spirituali 1, Città Nuova 2003)
«La vigilia dell’Immacolata, Chiara saldò il suo voto a Dio con il voto di verginità (…). Ma non è da pensare che Chiara intendesse fondare una comunità e meno ancora i focolari. Ella, che pure aveva la fantasia creatrice d’artista – sapeva infatti anche dipingere -, non pensava a niente. Come prima e dopo di allora, ella stava ad ascoltare la voce del Padre, nelle spiegazioni interiori, nei testi sacri, negli ordini della gerarchia e del clero, negli eventi e nelle suggestioni delle circostanze».