Quei demoni ancora attuali
Tutto esaurito per I demoni di Dostoevskij, regia di Peter Stein. Dopo Roma, Prato e Reggio Emilia, la tournée continua. Prossimi appuntamenti: Pordenone, il 23 e 24; Torino, il 30 e 31 ottobre.
Reduce da una tournée mondiale – da New York ad Atene, da Amsterdam a Parigi – torna in Italia lo spettacolo evento della stagione, firmato dal regista tedesco Peter Stein: I demoni di Dostoevskij. E registra il tutto esaurito nonostante la fluviale durata della rappresentazione. Eppure scorrono veloci le nove ore (dodici, compresi intervalli e pause) del romanzo di Dostoevskij, senza cedimenti di messinscena, pur con inevitabili sequenze meno riuscite, con cadute melodrammatiche e altre di grande teatro. Al servizio, comunque, della parola. Perché, dove c’è un gran testo è la parola a trionfare, che ha solo bisogno di essere detta e restituita con convinzione e senza orpelli.
Per la cronaca, va ricordato che dopo la cancellazione dello spettacolo (a lavoro già intrapreso per il lievitare dei costi e della durata) dal cartellone dello Stabile di Torino che lo aveva prodotto lo scorso anno, il regista tedesco rilevò lo spettacolo allestendolo nel suo casolare umbro, a San Pancrazio nei pressi di Terni. Nella grande sala-prove di un capannone ristrutturato, condividemmo con un numero ristretto di spettatori, per sole quattro repliche, un’esperienza unica. Ma veniamo allo spettacolo.
La denuncia del nichilismo ottocentesco – che oggi potremmo chiamare relativismo – anima l’inquietante romanzo. Penetra nella psicologia malata di esponenti della cosiddetta “intellighenzia” che s’illudono di cambiare il mondo senza una linea politica e senza un programma, unicamente affidandosi alla violenza. Alcuni giovani, rientrati in patria dalla Svizzera, preparano la rivoluzione con atti di terrorismo contro lo Stato per distruggere il regno zarista. Di diversa estrazione sociale, del gruppo di anarchici fanno parte, tra gli altri, Sciatov, un onesto tipografo contrario ai delitti, e Kirillov, un ex seminarista. Alla guida dei rivoluzionari ci sono due perversi fanatici: il forsennato Piotr ed il torvo aristocratico Stavroghin, i quali non esitano a sacrificare i compagni più deboli pur di rafforzare i vincoli tra i cospiratori.
Nel gruppo affiorano forti tensioni anche per i complessi rapporti personali. Dall’inizio, con i personaggi adunati in casa della raffinata Varvara Petrovna; ai pesanti interrogativi sulla personalità della minorata fisica e psichica Maria Timofèvna, figura più segreta della storia per il suo ambiguo legame col protagonista; ai primi attacchi della banda dei terroristi negatori di Dio e della vita eterna; fino allo stupro, la delazione, l’assassinio e il suicidio. Tra turbamenti, confessioni, tradimenti, e annientamento finale.
Se Camus – alla cui riduzione si era inizialmente appoggiato Stein, per subito abbandonarla perché ritenuta troppo vincolante – scorse nel romanzo un libro premonitore, denunciatore del nostro nichilismo e delle varie e dissennate aspirazioni che caratterizzano la contemporaneità, Dostoevskij, dal canto suo, presenta come solo paradigma Cristo. I dibattiti degli atei di cui sono piene le pagine de I demoni non riescono a liberarsene, e la sua presenza, tacita o espressa, è la vera guida che l’autore mette nella sua opera.
Ma chi sono i Demoni? Difficile dirlo. Sembrerebbero le persone malvagie presenti, ma forse sono le idee che oscurano la ragione e permeano il nostro spirito. Oppure, la solitudine esasperata di questi estremisti votati all’autodistruzione. Stupefacente sintesi è il dramma dell’unico vero protagonista: Nicolai Stavroghin (cui però non restituisce del tutto degna interpretazione l’attore Ivan Alovisio). Un condensato di energia fisica e intellettuale senza direttrice, di una potenzialità smisurata che, priva com’è di ogni valido fine, è destinata alla corruzione e alla dannazione di tutto ciò che con essa viene a contatto. Destinata, infine, all’autodistruzione nel più assoluto vuoto di senso. Il suo vero demone è la “pazzia morale”, che fomenta tutto il male possibile per una sorta di ignava beffa, senza appagamento, senza complicità, senza rimpianto del bene. E senza salvezza.
Tutto questo riesce a trasmetterci la regia chiara e illuminante di Stein coi suoi ventisei attori, impossibile da elencare tutti ma dei quali bisogna almeno ricordare soprattutto Elia Schilton e Fausto Russo Alesi, e, Maddalena Crippa, Pia Lanciotti, Alessandro Averone, Irene Vecchio, Giovanni Crippa. Magnifici nelle singole prove, ma soprattutto al servizio di un disegno corale che si muove tra pochi arredi – poltrone, sedie, qualche tavolo, un tappeto – e alcune pareti spostate a vista utili a stabilire gli ambienti, mentre risuonano da accompagnamento le note al pianoforte di Arturo Annecchino.