Quei Bronzi dei misteri

Ritorno a Reggio Calabria, in visita al rinnovato Museo Nazionale della Magna Grecia
Bronzi di Riace

Il 30 aprile scorso è stato ufficialmente inaugurato a Reggio Calabria, dopo un lungo restauro durato una decina d’anni, il nuovo Museo archeologico rimasto fino ad allora visitabile solo al primo piano con la sala dedicata ai celeberrimi Bronzi di Riace e al seminterrato, adibito ad ospitare mostre temporanee. L’edificio progettato negli anni Trenta dall’architetto Marcello Piacentini e come io lo ricordavo in una visita fatta agli inizi degli Ottanta andava totalmente ristrutturato, messo a norma antisismica, riorganizzato e ampliato quanto a percorsi e a distribuzione interna, e inoltre dotato di quei servizi di cui non può più fare a meno un museo moderno che si rispetti, fra cui una terrazza panoramica con ristorante.

 

 

Il nuovo allestimento, articolato su quattro piani di esposizione permanente, rende finalmente giustizia a questo che è tra i musei più rappresentativi della Magna Grecia, esteso su quasi 11 mila metri quadri, ora in grado di primeggiare tra i grandi musei esteri.

È stato emozionante per me rivedere a distanza di tempo collezioni note e scoprirne di nuove, illustrate nei loro contesti d’origine in un arco temporale immenso che va dal Paleolitico alla colonizzazione greca fino alla tarda età romana. Difficile, fra tanta abbondanza, segnalare delle evidenze. Tra l’altro ho ammirato la linea elegante di certe asce litiche o bronzee e dei vari contenitori di terracotta a figure ancora geometriche. Toccanti gli umili ex voto fittili provenienti dai santuari rupestri, splendide le terrecotte policrome dei templi arcaici, geniale la ricomposizione di alcuni corredi tombali nei quali, invece di esporre impietosamente le ossa dei defunti accanto agli oggetti rinvenuti, si è scelto di raffigurare schematicamente i corpi con alcuni tratti impressionistici. Tra le vecchie conoscenze, i sempre affascinanti pinakes e Dioscuri da Locri Epizefiri e il sorridente Kouros da Reggio. Una scoperta: l’acrolito di Apollo Aleo da Punta Alice, paludato con le vesti come doveva essere un tempo, quando statue del genere che avevano solo la testa e le mani in marmo venivano così completate. Se scarseggiano, per il periodo romano imperiale, la grande statuaria, gli affreschi e i mosaici, in compenso la vocazione marinara di questa regione è rappresentata dalla ricca collezione di ceppi di ancore in pietra o in piombo rinvenute in mare.

 

 

E infine quelli che sono l’emblema del Museo di Reggio come la Gioconda lo è del Louvre: quei Bronzi rinvenuti sul fondale marino di Riace ed ora esposti in una speciale sala climatizzata “anti-corrosione” nella quale si accede a piccoli gruppi: precauzioni necessarie in quanto, nonostante la forza che emanano e lo sfoggio di muscoli, le due statue sono estremamente fragili, causa la lunga permanenza subacquea e certe microlesioni dovute alla fusione stessa, e come tali vanno sottoposte a periodici controlli.

Un po’ sperdute nella vastità della sala che accoglie altri due reperti bronzei ritrovati in fondo al mare, le cosiddette Teste di Porticello, si ergono magnifiche e misteriose sui nuovi piedistalli antisismici. Quali dei o eroi raffigurano? Quale artista li ha realizzati? Da dove provengono? Come mai sono state rinvenute a soli 300 metri dalla costa e a otto di profondità, a poca distanza l’una dall’altra? Questi ed altri quesiti appassionano da una quarantina di anni esperti ed archeologi, specie in occasione di quei restauri (siamo giunti al quarto) che aggiungono sempre nuovi elementi utili a far chiarezza.

Di certo si sa che sono originali greci del V secolo a.C. che rappresentano due guerrieri forniti di scudi, lance e, il più vecchio, di un elmo (elementi tutti perduti). Tra le ipotesi avanzate, una delle più suggestive è quella dello storico dell’arte greca e romana Paolo Moreno, secondo cui si tratterebbe di personaggi mitologici appartenuti ad un gruppo statuario raffigurante i Sette a Tebe, e precisamente Tideo, l’eroe dell’Etolia figlio di Ares (il più giovane e aggressivo) e Anfiarao (il più anziano, che presagì la propria morte sotto le mura della città greca).

 

 

L’ultima e più rivoluzionaria ipotesi è invece quella di Giuseppe Roma, uno studioso di antichità cristiane presso l’Università della Calabria. Facendo riferimento all’antichissima processione annuale che si svolge a Riace in onore dei santi Cosma e Damiano e che, partendo dal loro santuario, continua su una barca verso una scogliera ad essi intitolata, proprio là dove nel 1972 furono ripescati i Bronzi, lo studioso ha accertato che in epoca medievale la linea di costa in quel tratto era avanzata di circa 500 metri, ben al di là del loro luogo di rinvenimento. Ne consegue che, invece di essere finite in mare in seguito ad un naufragio (di cui peraltro non si è trovata traccia) o per alleggerire il carico in caso di burrasca, le due statue sarebbero state intenzionalmente sepolte in terraferma, alla stregua di tante altre tra il V e il V secolo, per sottrarle alle distruzioni operate dai cristiani. Ci sarebbe dunque un collegamento tra Cosma e Damiano, i due santi fratelli medici il cui culto sostituì notoriamente quello dei Dioscuri, e il luogo dove si celebra l’attuale processione, reso sacro dal seppellimento di quelle testimonianze del paganesimo.

 

 

I Bronzi di Riace raffigurano dunque i Dioscuri, i divini gemelli? Evidente che no: gli eroi rappresentati non si somigliano affatto. Inoltre le ultime indagini hanno accertato che parte delle braccia del personaggio più anziano (la statua B) ha subìto già in antico una fusione successiva al resto della statua, come se gli arti fossero stati sostituiti in seguito a un danneggiamento o per trasformare la primitiva figura in un’altra… Certo è che questi capolavori faranno ancora parlare molto di sé.

Dopo averli a lungo ammirati, abbandonando il Museo non ho potuto fare a meno di pensare che con un po’ più di coraggio (o di fantasia?) si sarebbe potuto creare per loro, con luci, colori ed elementi appropriati, un allestimento meno asettico e da ospedale, anche se si tratta realmente di illustri “malati”; un allestimento in grado di suggerire quei fondali marini dove dopotutto essi hanno soggiornato per ben 2500 a

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons