Quegli ultimi posti che profumano d’oro

La storia del ghanese Frimpong, in gara alle Olimpiadi invernali appena terminate, esalta il vero spirito dello sport. Dove partecipare, è importante quanto vincere
EPA/DIEGO AZUBEL

Nelle ultime due settimane, ai Giochi di PyeongChang, abbiamo assistito alle gesta sportive di campioni davvero straordinari. Dalla norvegese Marit Bjoergen, l’atleta più medagliata della storia delle Olimpiadi invernali, allo statunitense Shaun White, vera e propria icona dello snowboard. Dalla ceca Ester Ledecka, autrice di una storica doppietta tra sci alpino e snowboard, al giapponese Yuzuru Hanyu, le cui prodezze sul ghiaccio sono sempre una delizia per gli amanti del pattinaggio artistico. Questo, solo per citarne alcuni … Campioni, che in quest’occasione hanno raggiunto la massima gloria per uno sportivo: la medaglia d’oro olimpica.

C’è una cosa, però, che accomuna questi titolati atleti agli altri partecipanti alle Olimpiadi 2018. Ragazze e ragazzi per i quali, salire sul gradino più alto del podio a cinque cerchi, almeno per questa volta, è rimasto solo un sogno. Si tratta dell’infinita passione che tutti loro, indistintamente, nutrono verso lo sport. Quella passione che, sin da bambini, li ha portati a fare tanti sacrifici, tante rinunce, per provare a dare il loro meglio. A prescindere da quello che sarebbe potuto essere il risultato finale di questi sforzi, a prescindere dal fatto che un giorno sarebbero potuti arrivare o meno alla medaglia d’oro olimpica …

«La cosa importante nei Giochi Olimpici non è vincere, ma partecipare. La cosa essenziale nella vita non è conquistare, ma combattere bene». (Pierre De Coubertin)

 EPA/DIEGO AZUBEL
EPA/DIEGO AZUBEL

Akwasi Frimpong nasce nel 1986 nella regione di Ashanti, in Ghana. Da piccolo vive con la nonna nel suo Paese d’origine, ma all’età di otto anni raggiunge la madre nei Paesi Bassi, dove questa si era trasferita nella speranza di costruire una vita migliore per la propria famiglia. Per diverso tempo Akwasi è, a tutti gli effetti, un immigrato irregolare e, nonostante la paura di essere espulso dall’ufficio immigrazione, inizia ad appassionarsi allo sport. In lui, in particolare, cresce sempre di più l’ambizione di diventare un giorno un atleta olimpico. Così, inizia a praticare atletica leggera, disciplina in cui è bravino, dimostra di saperci fare, distinguendosi soprattutto nelle prove di velocità.

Nel 2008, finalmente, acquisisce la cittadinanza olandese (i suoi genitori l’anno prima avevano ottenuto un permesso di soggiorno per ragioni di lavoro), va a studiare negli Stati Uniti (gli viene offerta una borsa di studio per frequentare la Utah Valley University), e nel frattempo decide di provare anche a qualificarsi per i Giochi estivi di Londra del 2012. Nel 2011 ottiene interessanti riscontri cronometrici (tra i quali un record di 10”45 sui 100 metri e di 21”88 sui 200), e il sogno sembra davvero poter diventare realtà. Purtroppo, però, un infortunio al tendine d’Achille gli impedisce di partecipare alle Olimpiadi dell’anno successivo.

«Quello che ti serve per avere successo, è già piantato in profondità dentro di te. La base del tuo successo inizia nel credere in te stesso, poi va nutrito con un atteggiamento positivo, e quindi il duro lavoro e la perseveranza porteranno il tuo successo a diventare realtà». (Akwasi Frimpong)

Lui non si da per vinto, vuole davvero prendere parte ad una edizione dei Giochi a cinque cerchi, e così decide di passare dall’atletica al bob. Obiettivo, i Giochi invernali 2014. Anche in questa disciplina dimostra una certa attitudine, tanto da entrare presto a far parte della squadra nazionale. È convocato come seconda riserva del bob a 4 olandese per le Olimpiadi di Sochi, ma rimane a guardare i propri compagni senza poter gareggiare. In Akwasi, però, la passione per lo sport non diminuisce, e quell’idea di partecipare ai Giochi, è sempre lì … Spinto dalla moglie, che lo persuade a non rinunciare al suo sogno, decide quindi di riprovarci, e nel 2016 passa allo skeleton.

Per chi non conoscesse bene questo sport, si tratta di una disciplina in cui gli atleti scendono lungo una pista ghiacciata su una slitta dotata di pattini. Tipo lo slittino, per intenderci, ma stando sdraiati a pancia in giù, con la testa in avanti e i piedi indietro. Bisogna essere dotati di non poco coraggio, e Akwasi all’inizio deve superare una certa paura a buttarsi giù a velocità che superano anche i 120 chilometri l’ora, ma poi finisce per appassionarsi. Per finanziare la sua partecipazione ai Giochi di PyeongChang 2018, si mette anche alla ricerca di un lavoro temporaneo, e comincia a vendere aspirapolveri porta a porta. In meno di due anni ottiene il pass per i Giochi olimpici, e dopo aver tentato in tre discipline diverse diventa il primo ghanese a competere nello skeleton alle Olimpiadi invernali.

«Nessuno sponsor voleva aiutarmi, tutti mi guardavano come il ragazzo venuto

dall’Africa che aveva mancato le Olimpiadi due volte.

Le persone mi dicevano: “Non funzionerà, non ce la farai, fallirai di nuovo.

Dovevo provare a me stesso quanto volevo davvero realizzare il mio sogno»

 (Akwasi Frimpong)

Le sue Olimpiadi cominciano venerdì 9 febbraio quando, durante la cerimonia di apertura, sfila nella parata degli atleti con il ruolo di portabandiera del Ghana. Un’emozione grandissima. Poi arriva il momento della gara. Due giorni, quattro discese giù per il budello olimpico. Qui conquista tutti, sfoderando sempre un sorriso coinvolgente, anche se alla fine si classifica “solo” al trentesimo (e ultimo) posto. Lui è comunque soddisfatto, corre a baciare la moglie sul traguardo, e mostra alle telecamere il suo casco, che raffigura un coniglio che tenta di scappare dalle fauci di un leone.

«Il mio vecchio allenatore di atletica un giorno mi disse: Ci sono un leone e un coniglio in una gabbia, la porta si apre e il coniglio tenta di scappare”. Capii che io ero quel coniglio, e dovevo sfuggire dai “leoni” del mio passato. Non dovevo più essere “mangiato” da tutte le cose che accadevano intorno alla mia vita». E bravo Akwasi, con pazienza e perseveranza alla fine ce l’hai fatta. E non importa se sei arrivato ultimo, la cosa importante è essere riuscito a raggiungere il tuo obiettivo esultando come se avessi vinto un oro. Perché, quando si ama lo sport, provare a vincere è importante, certo, ma partecipare lo è almeno altrettanto.

 

 

 

 

 

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