Quattro verbi, un percorso
L’attuale Vescovo di Roma, come tutti i suoi predecessori recenti, si trova a vivere un momento importante ed irripetibile della storia umana e lo sta leggendo e interpretando non solo come leader dei cattolici ma anche come indiscusso punto di riferimento globale.
Leone XIII aveva incrociato la Rivoluzione industriale con tutte le sue problematiche. Benedetto XV, a parte l’opporsi al primo conflitto mondiale, aveva chiamato la Chiesa a interrompere il colonialismo ecclesiale. Pio XI si era dovuto misurare con il nazismo come pure Pio XII che aveva vissuto il momento più tragico del secolo breve, il secondo conflitto mondiale. Giovanni XXIII, dopo aver vissuto il drammatico momento della crisi di Cuba che per giorni aveva tenuto il mondo con il fiato sospeso per il pericolo di un conflitto mondiale, aveva pubblicato l’enciclica Pacem in terris. Anche Paolo VI si era misurato col problema della pace e del progresso dei popoli appena affrancati dal colonialismo e con le religioni e culture con le quali la Chiesa era chiamata a «venire a dialogo». Giovanni Paolo II, nei lunghi anni del suo pontificato, ha visto il mondo cambiare, anche grazie alla sua presenza, in particolare per il crollo dell’impero sovietico. Benedetto XVI ha intercettato, come papa ma anche come uomo di pensiero, la grande crisi dell’Occidente e dell’Europa.
La questione migrazioni resta la cifra fondamentale del pontificato di Francesco, eletto, pareva, per riformare il cuore interno della Chiesa cattolica. Bergoglio non vive il problema delle migrazioni, categoria per sociologi e politologi, ma quello dell’uomo. I migranti, infatti, hanno «il volto di donne, uomini e bambini sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro». Il punto che Francesco suscita non è solo la gestione del fenomeno migratorio, ma come rivolgersi alle persone che ne sono vittime e protagonisti allo stesso tempo. E lo fa con quattro verbi che tracciano un percorso: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.
Non si tratta di semplici vocaboli. Sono parole che trovano un testimone nel papa stesso. Bergoglio ha accolto e continua ad accogliere i migranti: lo ha fatto col suo primo viaggio a Lampedusa, ma anche a Lesbo da dove, fra l’altro, è tornato a Roma con alcuni fra i tanti che si trovavano ‘abbandonati’ sull’isola greca. Continua a prodigarsi per proteggere: basta vedere l’abbraccio con cui avvolge bambini ed anziani che incontra, l’attenzione con cui ascolta i drammi di chi gli parla. Si è fatto promotore lui stesso di iniziative e continua a lanciare appelli, soprattutto all’interno della Chiesa, chiedendo alle comunità parrocchiali e religiose di accogliere chi ha bisogno di aiuto. Infine, conosce bene, per averlo sperimentato nella sua vita familiare, l’importanza dell’integrazione sia per il futuro dei migranti che per le società che li accolgono.
Francesco ha intercettato un fenomeno epocale ed ha capito che, nonostante la rigidità di governi e istituzioni e le paure dei Paesi di destinazione, non ci sarà una inversione di tendenza. Questa lettera disegna una strada ideale verso il futuro per un mondo – l’Occidente – che ha una possibilità unica di rigenerarsi. Nonostante che sempre più spesso vengano visti come un pericolo, i processi migratori costituiscono una «opportunità di arricchimento interculturale». Ovviamente è necessario tener presente che non si tratta di una «un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca. È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini». Per questo il papa incoraggia la concessione «dell’offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici e di percorsi di regolarizzazione straordinaria per migranti che possano vantare una lunga permanenza nel paese».
Il papato Bergoglio resterà nella storia proprio perché capace di leggere questi segni dei tempi e capire che il mondo d’oggi che guarda al domani è chiamato a «favorire in ogni modo la cultura dell’incontro». Di fronte alle diatribe politiche, sempre più penose nella ricerca di consensi elettorali e populismi vari, Francesco ci ricorda che il nostro mondo può essere punto di incontro, ricco di «opportunità di scambio interculturale», oltre che di vera e genuina carità cristiana.