Quattro nuovi beati in Congo

Vittorio Faccin, Luigi Carrara, Giovanni Didonè e Albert Joubert sono un segno di seranza e fraternità per tutta la Chiesa. Intervista a p. Faustino Turco, missionario saveriano, postulatore della Causa

Il 18 agosto a Uvira (Repubblica Democratica del Congo) sono stati beatificati Vittorio Faccin, Luigi Carrara e Giovanni Didonè, missionari saveriani, assieme a Albert Joubert, sacerdote della diocesi di Uvira, uccisi il 28 novembre del 1964. «Il loro martirio è stato il coronamento di una vita spesa per il Signore e per i fratelli. Il loro esempio e la loro intercessione possano favorire percorsi di riconciliazione e di pace per il bene del popolo congolese». Con queste parole li ha ricordati papa Francesco nel corso dell’Angelus nello stesso giorno.

I tre saveriani, originari delle diocesi di Vicenza, Bergamo e Padova, erano partiti in Congo non ancora trentenni. Hanno lavorato a Kiliba, Kiringye, Murhesa ma soprattutto a Baraka e Fizi. Avevano 30, 31 e 34 anni al momento della loro morte. Ci parla di loro p. Faustino Turco, missionario saveriano, postulatore della Causa.

P. Turco, in che contesto sociale hanno operato i nuovi beati?

Alcune date possono aiutarci a capire brevemente il contesto sociale e religioso: 28.10.1958: arrivo dei primi saveriani a Uvira; 30.06.1960: indipendenza della Repubblica Democratica del Congo dalla Colonia belga; 17.01.1961: uccisione di Patrice Lumumba, primo ministro del Congo. 15.05.1964: i Simba, movimento rivoluzionario guidato da Pierre Mulele, prendono la città di Uvira, reagiscono contro il potere centrale di Kinshasa, tengono in domicilio coatto il vescovo e una dozzina di religiosi e laici fino al 7 ottobre 1964. Anche a Baraka e Fizi i mulelisti regnano sovrani: fra loro ci sono dei capi che difendono la missione e i padri. Altri, indottrinati dall’ateismo e comunismo, perseguitano i padri e i loro cristiani.

Perché dei ragazzi così giovani hanno deciso di partire in missione in Congo?

Era loro desiderio fare del bene, condividere la loro fede con chi non conosceva Gesù Cristo. Hanno fatto una scelta missionaria consapevole: Giovanni ha lasciato il seminario diocesano per entrare dai Saveriani e così pure Luigi ha insistito presso i genitori che, alla vocazione missionaria, avrebbero preferito inizialmente la vocazione di presbitero diocesano. Anche Vittorio, dopo alcuni anni di servizio nelle comunità di Parma e di Desio, ha chiesto a più riprese ai superiori di non dimenticare il suo desiderio di vivere pienamente il “voto di missione”, il primo dei quattro voti che i Saveriani professano. Erano pure i primi anni della presenza saveriana in Congo e si cercava personale per la fondazione delle comunità a Uvira.

In che modo è avvenuto il loro martirio?

Quattro persone uccise lo stesso giorno, dallo stesso assassino e dal suo gruppo, nonostante i 35 km che separano Baraka da Fizi. Già le prime testimonianze identificano l’uccisore nella persona di Abedi Masanga: prima falegname a Baraka, poi recatosi in Burundi, rientra nel 1964 come radicalizzato nella dottrina anticristiana. Anche i suoi familiari non lo riconoscono più e pure loro subiscono torture per la loro fede. Quando, verso le 14:00 del sabato 28 novembre, Vittorio e Luigi lo vedono arrivare a Baraka con la sua jeep carica di Simba, pensavano di poterlo calmare, mentre Luigi confessava all’interno della chiesa per la preparazione all’indomani, prima domenica di avvento. Dopo qualche battuta, l’ira si scatena. Vittorio viene colpito in petto dalla pistola, Luigi esce, si inginocchia davanti al confratello già esanime, mentre viene minacciato. Lui, con la saggezza del profeta dice la sua ultima frase: «Se mi vuoi uccidere, preferisco morire accanto a mio fratello». E così fu. Secondo martire. Verso sera, stessa scena a Fizi: Abedi fa irruzione contro i militari che fanno la guardia ai padri. Esce Giovanni con la lampada a petrolio e poi Albert: entrambi sono uccisi.

Cosa dicono a noi oggi le loro vite?

Sottolineo soprattutto due loro atteggiamenti: l’amore alla gente e lo spirito di fraternità. Il nostro fondatore, san Conforti, ce lo raccomandava: il missionario ama le persone che incontrerà ancora prima di conoscerle; il suo ideale è fare del mondo una sola famiglia in Cristo. Vittorio, Luigi e Giovanni, così pure Albert, hanno vissuto in un periodo sociale molto delicato, inserendosi in Congo nel passaggio dalla colonia belga all’indipendenza del Paese. Luigi, per esempio, diceva, «in questo momento storico, l’Africa va amata». Si sono inseriti promuovendo la collaborazione e sostenendo i laici, sono stati premurosi verso i più poveri e i più lontani, andando loro incontro in viaggi molto avventurosi e rischiosi. Voler bene alla gente era una loro priorità, anche se, col passare del tempo, hanno incontrato pure loro incomprensioni e reagivano davanti ad ingiustizie o uno stile di vita che si allontanava dal Vangelo. La fraternità è stata probabilmente il loro testamento: loro quattro si sono sostenuti e aiutati l’un l’altro nella prova e nella speranza; la gente li ha protetti, nei momenti di guerra, mandando delle guardie e anche accogliendoli nelle loro case perché il presbiterio non era in zona sicura.

Cosa significa per lei la beatificazione dei suoi confratelli?

Significa speranza. Per il Congo come Paese e come Chiesa, per l’Istituto nel suo presente e nel suo avvenire. C’è stato un grande coinvolgimento soprattutto nella diocesi di Uvira e nelle diocesi di origine dei martiri in Italia. Da alcuni mesi ci si sta preparando nei diversi ambiti che questo evento implica. Mi colpisce molto tutto questo. C’è stata molta generosità nel prestare servizi e offrire mezzi, per preparare canti, preghiere, animare le comunità, chiedere testimonianze. È davvero commovente se penso in particolare ad alcuni che hanno dedicato molto tempo per aiutare la gente a vivere bene questa celebrazione che, in sé, è molto breve, ma ha un significato molto bello: siamo tutti chiamati alla santità ed è una gioia vedere che la Chiesa riconosce la virtù del martirio e quindi il percorso di fede fino al dono totale di questi giovani che con molta semplicità e umiltà hanno risposto alla sua chiamata. I martiri coinvolgono: dalla loro testimonianza nascono continuamente altri testimoni. Non manca però lo zampino del male: sappiamo tutti che quando ci si impegna nel cammino della santità, salta fuori l’invidia del maligno e si manifesta in varie maniere.

Che frutti spera nasceranno da questo evento?

La beatificazione è un’occasione per creare comunione, o per lo meno, uscire da una certa indifferenza. Infatti, se non stiamo attenti, possiamo diventare scettici: anziché rispondere alla chiamata della santità, ci convinciamo col nostro minimalismo che la santità è cosa di altre persone o di altri tempi perché noi «siamo terra terra». Il sogno è che il Signore trovi spazio nei cuori di chi è causa di conflitti armati in Congo e che susciti processi di pace. Anche Abedi Masanga ha chiesto perdono, prima di morire. E questo è uno dei primi miracoli operati dal Signore per l’intercessione dei nostri martiri.

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