Quattro film per l’estate

Cosa non si fa per portare la gente al cinema, ora che è tempo di ferie. Perciò arrivano prodotti vecchi e nuovi. Intendiamoci: vecchi come tematiche e nuovi come confezioni. Ne offriamo qualche esempio. Da un legal thriller a film di avventura a un noir doloroso e amaro

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Gli Usa al solito imperversano. Ecco un legal trhiller come Una doppia verità, un genere molto amato dagli americani. L’avvocato “divo” Keanu Reeves difende i clienti in processi scomodi. Questa volta c’è il giovane Gabriel Basso accusato di aver ucciso il padre, ma chiuso in un ostinato mutismo, il che rende difficile difenderlo. Nemmeno la madre (Renée Zellweger) riesce a smuoverlo. Arrampicandosi sugli specchi, l’avvocato troverà un escamotage e si riuscirà a vedere una soluzione. Del tutto inaspettata, però. Il genere fila, la regista Courtney Hunt è una professionista che sa il fatto suo, per cui il film è godibile, per chi ama appunto il legal trhiller. L’unico che purtroppo non funziona è un ingessato Keanu Reeves la cui recitazione stantia non aiuta molto il racconto, che poi è un apologo morale sul confine tra verità e finzione.

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E, a proposito di divi, ecco il sempreverde Tom Cruise nei panni dell’eterno vincitore del male. Questa volta è l’amorale  Nick Morton che libera la mummia di Ahmanet (Sofia Boutella, danzatrice nell’aria perfetta) che lo possiederà  nella mente e scaricherà su di lui la maledizione, pronta a distruggere  il mondo, partendo da Londra. Compagni di avventura l’archeologa alla Indiana Jones Jenny Halsey (Annabelle Wallis) e il semimorto Vail (Jake Johnson). Inutile dire le peripezie acrobatiche di Cruise, gli effetti più o meno speciali, ed invece vale la pena sottolineare la protagonista, impegnata a dare un tocco di forte femminilità all’azione.

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Naturalmente, si mescola di tutto. Crociati − forse Templari? −, sepolcri sotto il Tamigi, riti egiziani ancestrali, visioni, paure attuali di atomiche. Che non sia la mummia-donna il ritratto di una jiadista fanatica e proprio a Londra? Gli americani, si sa, furbescamente mettono  insieme passato e presente. Blockbuster d’azione, il film diretto con indubbia sagacia da Alex Kurtsman è un bel fumettone avventuroso. Dove l’ultimo dei supereroi attori, che ci credono davvero in quello che fanno, cioè Tom Cruise (con gli anni che si vedono), riesce addirittura simpatico.

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E sempre sul versante avventuroso il regista James Grey racconta in Civiltà perduta lo spirito di esplorazione che da sempre avvince l’uomo e lo spinge a sfidare l’ignoto. È la storia vera dell’esploratore inglese Percy Fawcett, scomparso dal 1924 nella giungla amazzonica insieme al figlio Jack, cercando la misteriosa città arcaica che lui ha denominato Z. Una ossessione durata una vita, cui non bastano né gli affetti familiari né le decorazioni per soffocarla.Il filo rosso della vicenda è appunto questa ricerca che è allo stesso tempo gloria personale e spirito di conoscenza, come un Ulisse del XX secolo che sfida le leggi della natura, un mondo che non conosce e in cui forse perisce. Più che sugli scenari amazzonici, ben  fotografati, il film si concentra sui protagonisti, impersonati in modo convincente da Charlie Hunnam e Sienna Miller (la moglie Nina). La loro storia intima, le battaglie sociali, i momenti bui, vengono resi con uno stile narrativo lineare, che alterna le imprese nella giungla ai momenti familiari, anche alle battaglie delle prima guerra mondiale: esaltazione e coraggio, depressione e buio, e la fine misteriosa di un uomo che la moglie ha atteso sino alla sua morte, nel 1954. Oggi le nuove scoperte fanno intendere che Fawcett forse aveva ragione. Ma i sogni si pagano, ed è forse questo il senso di un film lucido e ben costruito, senza alcun cedimento al sentimentalismo decorativo.

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Torniamo in Italia con una vera sorpresa. Si tratta de I figli della notte, opera prima di Andrea De Sica,  quello del celebre clan di nonno Vittorio. Storia di formazione adolescenziale in un esclusivo college sulle Alpi per figli di papà, in pratica abbandonati dai genitori troppo occupati nei loro affari. Giulio (un bravissimo Vincenzo Crea) soffre nella prigione dorata, ed ha bisogno di affetto. Crede di trovarlo in una giovane prostituta straniera che va a trovare di notte a qualche chilometro dal college. Ovvio, si uniranno altri ragazzi. Giulio e l’amico Edoardo (Ludovico Succio), inseparabili, non sanno che i responsabili li controllano ed anche le fughe notturne fanno parte dell’offerta formativa. Tutto ciò non allenta la morsa della solitudine e il tipo più emotivo, Edoardo, non regge. Di qui, una catena drammatica di avvenimenti e la caduta nella amoralità e nella finzione.

figlinotte

Di taglio  per nulla italiano, scarno come certo cinema nordeuropeo, il racconto è pervaso da un clima di sospensione, di oscurità, di tensioni emotive che giovano a rendersi cupe espressioni di una immensa solitudine  dei giovani e dell’ipocrisia gelida degli adulti. È la perdita dell’innocenza, in definitiva, che viene raccontata in scene scandite con decisione, in atmosfere più notturne − da trhiller − che diurne, in contrasto con la bellezza di una natura montana innevata, simbolo di quella forza e purezza che ai giovani viene di fatto impedita. La regia è severa, la recitazione controllata, siamo in un noir doloroso e amaro. Da non perdere.

 

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