Quasi settant’anni di indipendenza, ma tanti nodi irrisolti

Il Paese asiatico ha celebrato lo scorso 15 agosto il sessantanovesimo anniversario dalla dichiarazione che lo rese autonomo dall'impero britannico. Una nazione che è diventata protagonista sullo scacchiere internazionale
India

 

L’India è ormai alla soglia del settantesimo anniversario della sua indipendenza. Il 15 agosto, infatti, ha celebrato il sessantanovesimo ricordo di quella mezzanotte del 1947 che Jawaharlal Nehru, annunciando al Paese l’indipendenza dall’impero britannico, aveva definito come ‘il nostro appuntamento con la storia’. Sette decenni non sono pochi ed hanno dimostrato la capacità di una nazione di diventare protagonista sullo scacchiere internazionale, sia a livello politico che sociale, segnando fra l’altro una delle ascese economiche più spettacolari che il nostro mondo abbia conosciuto negli ultimi vent’anni. Ma con l’India non si deve mai correre il rischio di banalizzare e di semplificare, né a livello di passato né per quanto riguarda il futuro. Il gigante indiano vive costantemente, sia pure in processi evolutivi veloci e difficili da decodificare, fra tensioni e contraddizioni che fanno parte del suo essere e che, tuttavia, riesce a metabolizzare con apparente facilità lasciando l’osservatore occidentale interdetto.

 

Questi giorni di celebrazione non fanno eccezione. Da tre anni, ormai, il governo è saldamente in mano al Bharatya Janata Party e a Narendra Modi, Primo Ministro della più grande democrazia del mondo, che governa con grandi capacità di retorica e con pragmatismo altrettanto puntuale. Eppure, come più volte ripetuto anche su queste nostre colonne, Modi da tempo rappresenta là immagine di pericoli per le minoranze religiose come pure per quelle classi sociali discriminate, in particolare i dalits, fuori casta. Ad attacchi sporadici verso istituzioni e rappresentanti di gruppi religiosi minoritari, mai confermati o rivendicati come azioni di discriminazione religiosa, si è aggiunta negli ultimi mesi del 2016 una nuova ondata di proteste dei fuori casta, iniziate con il suicidio di uno studente all’interno di un campus universitario, e culminate con il  Dalit Asmita Yatra, una marcia pacifica di protesta, partita da Ahmedabad, la capitale dello stato del Gujarat dal quale proviene Modi, che per anni è stato il Primo Ministro locale. Si è trattato di una manifestazione spontanea, pacifica e senza una affiliazione politica, almeno nelle intenzioni. I partecipanti sono stati soprattutto gente comune, ed il corteo, nel corso della marcia, ha animato incontri nei villaggi anch’essi spontanei. Altro aspetto sorprendete è stata l’assenza di figure di rilievo che potevano manipolare e monopolizzare la scena. Il tutto si è realizzato un budget risicato e con il coinvolgimento di sindacati e di associazioni dalit di diverse parti del Paese (gli stati del Bihar, del Punjab, dell’Andra Pradesh e Telangana, per esempio, molto diversi fra loro per estrazione socio-religiosa e per trascorsi storici soprattutto per quanto riguarda il nodo delle caste).

 

L’iniziativa è partita come risposta non solo ad accadimenti precedenti (per esempio i già citati suicidi di studenti in varie università), ma piuttosto per attacchi recenti in zone dove ronde per la difesa delle mucche sacre avevano colto giovani dalit a scuoiare una mucca morta, un atteggiamento considerato mancanza di rispetto verso l’animale sacro da parte di indù di casta. Da qui si erano verificati episodi di violenze efferate nei confronti di dalit, colti in atteggiamenti sospetti nei confronti dell’animale tradizionalmente considerato sacro dalle religioni dell’India. Circa 30 dalits si sono, poi, suicidati come conseguenza di atti di questo tipo. Lo stato del Gujarat ha sofferto per manifestazioni in serie che hanno bloccato le strade nazionali, i trasporti e la vita quotidiana. Lo stesso Modi, dopo settimane di silenzio, aveva dovuto intervenire sulla questione prendendo un qualche tipo di distanze, ma dando un segno chiaro di non poter ignorare la questione.

 

La grande marcia, yatra, sebbene attentamente monitorata dalla polizia locale non ha offerto il fianco a reazioni pericolose. Nei villaggi, dove i dalit non possono attingere l’acqua dagli stessi pozzi dove si servono gli altri abitanti, si è mantenuta una atmosfera di dialogo conclusa spesso con un giuramento da parte dei fuori casta di non mancare più di rispetto agli animali, anche se morti. L’iniziativa ha messo in evidenza che i gruppi sociali discriminati non miravano alla vendetta, quanto, piuttosto, ad ottenere giustizia per quanto accaduto e per quello che devono ancora subire. Quello a cui i dalits mirano è arrivare ad ottenere le scuse da parte dei guru e dei leaders indù e, soprattutto, a non ricevere discriminazioni dolorose come quella di non aver accesso a certi posti di lavoro e di ascesa nella scala sociale del sub-continente. Il movimento ha da decenni sconfessato il Mahatma Gandhi, che, pur favorevole al sistema castale, considerava l’intoccabilità di cui sono vittime i fuori casta, un peccato imperdonabile contro Dio e contro l’umanità.

Nell’India del progresso tecnologico e della finanza avere un cognome che tradisce l’appartenenza ad un gruppo sociale considerato fuori casta è ancora uno stigma esistenziale. Per questo i leaders dalits mirano, non tanto ad una rivolta violenta, ma a processi con approcci differenziati, materiale, sociale e psicologico. Si tratta di agire anche sui gruppi sociali elevati, e non solo quelli del brahmini. Lo stile della protesta organizzata fra la città di Ahmedabad e la cittadina di Una rappresenta, senza dubbio, qualcosa di nuovo. Si tratta di vedere se potrà, in qualche modo, contribuire ad avviare un processo di rinnovamento all’interno dell’induismo e di tutto l’immenso Paese, che vanta la più grande democrazia esistente sulla faccia della terra ma la discriminazione più abietta che si possa immaginare. Lo stato da cui proviene Modi, e al cui sistema di sviluppo il Primo Ministro si è ispirato – per la lunga esperienza di potere che lo ha poi lanciato sulla scena nazionale ed internazionale –, sarà il teatro che, nei prossimi mesi, dirà quanto la nuova ventata di proteste avrà o meno un futuro con la possibilità di un pur limitato mutamento sociale in quella che è una delle strutture più incrollabili di fronte ai processi storici dell’umanità.   

Intanto, il 15 agosto, nel tradizionale discorso alla nazione, Modi ha parlato dei grandi risultati ottenuti dal suo governo negli ultimi tre anni. Non ha mancato di ricordare i servizi delle amministrazioni che sono stati resi più efficienti, la limitazione del processo inflazionistico, i servizi sanitari di cui sono stati dotati centinaia di villaggi che ne erano parzialmente o totalmente sprovvisti, la rete di elettrificazione in ambito rurale che ha compiuto un passo avanti importante per coprire l’intera nazione. Soprattutto, ha cercato di passare dalle questioni spicciole della politica a toni da vero statista senza retorica, ma cercando di sottolineare quanto avvenuto a livello locale grazie alla sua amministrazione. Purtroppo, Modi non ha affrontato il problema del Kashmir, nuovamente questione bollente, per quanto accaduto negli ultimi due mesi e potenziale punto di entrata di terroristi in India, ed ha taciuto sulla questione dei dalits. I prossimi 12 mesi i diranno quanto questi due elementi potranno offrire motivo di celebrare il settantesimo dell’Indipendenza con la soddisfazione di aver aperto nuove strade di intesa politica con il Pakistan e con lo stato del Kashmir e con il coraggio di nuove vie di integrazione sociale nel complesso panorama castale dell’India.

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