Quaresima tempo triste?
Qualche spunto per andare oltre i luoghi comuni e le pratiche esteriori, e passare dalle "penitenza" alla "conversione".
Chi ha detto che la Quaresima è un tempo triste? Forse perché domina il viola? Ma non è un colore di moda?
Gesù ha detto: «Quando digiunate non diventate malinconici come gli ipocriti (…).Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e lavati il volto» (Mt 6,16s.). Perché? Certo, lui ha detto questo per criticare atteggiamenti esterni farisaici. Ma soprattutto per mostrarci il cammino della conquista della libertà contro una vita falsa, ipocrita appunto, attraverso la lotta contro le tendenze che ci schiavizzano.
Forse nel linguaggio e nella mentalità comune ha prevalso la parola “penitenza” sull’altra, più evangelica e più fondamentale: “conversione”. Gesù ha predicato la conversione, non la penitenza: «Convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). Cioè, siete sulla strada sbagliata, fate una “conversione” e indirizzate il vostro cammino in direzione di Dio. La Quaresima non consiste anzitutto in pratiche, ma nella ricerca del volto di Dio. E facendo questo, il sorriso illuminerà il nostro volto. Non un sorriso superficiale, ma serio (non triste!), come quello stampato sul volto dell’atleta che stringe i denti nell’ultimo sforzo verso della vittoria. O meglio: come quello dell’amante che corre all’incontro con l’amata.
La Quaresima è il ricupero del senso della vita, un po’ smarrito in mezzo all’attrattiva delle cose, che cosificano anche noi e ci svuotano della nostra personalità. Convertirsi a Dio vuol dire convertirsi a noi stessi, alla verità di noi stessi. Perché Dio, che è la verità, sa chi siamo e ci vuole “salvare”. Altra parola poco capita, che vuol dire: restituirci al disegno originale che Dio ha concepito, quando ci ha chiamato: «Esisti!». Il peccato – sul quale meditiamo e del quale ci pentiamo durante la Quaresima – è la falsità ontologica, la deformazione del progetto di Dio. In questo senso è veramente tragico e c’è poco da scherzare su di esso o affannarsi a dire che non esiste. Ce lo troviamo appiccicato addosso e insinuato dentro di noi e la Quaresima ci ricorda: «Riconoscilo e convertiti, cammina verso colui che ti salva».
C’è un segreto perché la Quaresima non si riduca a pie pratiche da quantificare: ricordarsi che il cammino verso Dio passa attraverso l’uomo. «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20). Conversione non significa puntare al cielo, immaginandosi che Dio sta oltre le nubi, ma immergersi nell’umanità per cercarvi i vari volti sotto i quali Dio si nasconde. Anche perché il rapporto con l’altro è la penitenza più radicale. Amare, come Gesù ci ha detto quando ci ha chiamato alla conversione, vuol dire dare la vita per l’altro, svuotarsi, farsi nulla per comprenderlo e accoglierlo. Molto più che dare un’elemosina, anche sostanziosa, o rinunciare a un piatto saporito.