Quanto pesano le lacrime

Il pianto sui volti di giocatori sconfitti o vincenti, sulle guance di tifosi grandi e piccoli, ha caratterizzato il Mondiale brasiliano. L’ex capitano dell’Inter, Javier Zanetti, dalle pagine dell’Osservatore romano lancia una proposta: un’amichevole fra le due squadre finaliste per destinare l’incasso alle favelas brasiliane
Tifosi brasiliani delusi

Tra giocate e sorprese, psicodrammi e colori, ad irrompere da protagonista ai Mondiali 2014 è stata la copiosa quantità di lacrime versate. Abbiamo osservato lacrime di tensione, quelle di Julio Cesar prima di Brasile-Cile (http://www.mondiali-di-calcio-2014.com/il-cile-maledice-i-centimetri-ai-rigori-passa-il-brasile/), come anche lacrime di gioia, quelle dei calciatori brasiliani subito dopo la vittoria sugli stessi rivali sudamericani. Abbiamo assistito alle lacrime di dolore di Neymar e Di Maria, giovani emblemi talentuosi rispettivamente di Brasile e Argentina: lacrime di dolore fisico ma anche psicologico, data l’amarissima immediata consapevolezza di vedersi strappare dalla sorte il sogno sportivo di un Mondiale giocato nel proprio continente in festa. Non abbiamo neanche più di tanto contato le prevedibili e smisurate lacrime di tanti sconfitti, più o meno illustri.

Le ultime sono quelle di mezzo Brasile, stordito dalla peggior debacle sportiva che la sua gloriosa storia ricordi: annichilito per 7-1 da una Germania (http://www.mondiali-di-calcio-2014.com/brasile-a-lezione-di-calcio-la-germania-vince-7-1/  )  più che mai emblema di cinismo e spietatezza calcistica, il gruppo di Felipe Scolari si è letteralmente liquefatto emotivamente già dopo un quarto d’ora di gioco, scoprendo il fianco ai perfetti affondi tedeschi e ad uno psicodramma che di lacrime, ancora una volta, ne ha fatte registrare a cascata in campo e fuori. “Rialzati Brasile”, ha “cinguettato” su Twitter la presidente Roussef, conscia di quello che, più che lo sport nazionale, è probabilmente l’argomento principale delle giornate del Paese.

Ma di 32 squadre, si sa, ne resterà soltanto una, che magari verserà altre lacrime, ancora di gioia… È il calcio, è la vita. La differenza, forse, consiste nel peso che si attribuisce a una lacrima, come all’emozione che la motiva. Sebbene abbiamo avuto la sensazione, non di rado, che qualcuna fosse eccessiva o immotivata (sempre di un cuoio gonfio d’aria che rotola, parliamo…), ogni lacrima ha fornito occasione per ricordare che al di là di spregiudicati interessi e spropositate somme di denaro che vi girano intorno, il calcio resta uno spettacolo fatto di emozioni, i cui attori, volenti o nolenti, hanno un’anima non rinchiudibile semplicisticamente in firme di contratti o tatticismi asettici. Lacrime che hanno catalizzato un crogiuolo di emozioni per tifosi appassionati e protagonisti: lacrime che rendono, semplicemente, uomini, talvolta sensibilmente forti delle proprie debolezze.

«Ecco perché forse, finora, l’immagine più bella di questo Mondiale non è un tiro, un dribbling o una parata, ma quella del difensore brasiliano David Luiz che invita il pubblico ad applaudire il giovanissimo talento James Rodriguez singhiozzante in mezzo al campo dopo la sconfitta. Lo sport a volte insegna anche questo: a saper perdere e a saper vincere. In ogni caso si esce più forti»,ha scritto per l’Osservatore Romano dello scorso 7 luglio Javier Zanetti, capitano e bandiera della leggendaria Inter del Triplete 2010 appena ritiratosi dal calcio giocato, di cui facciamo profondamente nostro anche un altro grande appello.

«Visto che ho parlato di lacrime – scrive Zanetti– non vorrei dimenticare lacrime ben più importanti: quelle fuori degli stadi. E magari proporre un’idea a chiunque giocherà la finale di questo Mondiale: perché non pensare nel prossimo futuro a rigiocarla in un’amichevole il cui incasso possa andare a sostenere le famiglie e quanti vivono nelle favelas in Brasile? È l’idea di uno sport sempre più attento al mondo reale che lo circonda. Lo stesso principio per cui il 1° settembre si giocherà a Roma, voluta da papa Francesco, una partita interreligiosa per la pace. Potrebbe essere un modo per asciugare qualche lacrima».

È l’appello di quello che era e resta un vero capitano: l’appello di chi del privilegio del blasone sportivo vuol fare un’occasione di dono a chi non è stato altrettanto favorito. Quanto pesa una lacrima non ci è dato sapere né giudicare, ma ciò che è certo è che dalle fuggevoli lacrime sportive si possa passare all’asciugare almeno qualche lacrima ben più dolorosa, meno premiata dell’attenzione mediatica e portatrice di drammi ben più profondi. Sia occasione un’amichevole, sia occasione un nuovo evento: facciamo nostro l’appello per un calcio che non dimentichi le lacrime, tutte, soprattutto le tantissime fuori dal coro e dal campo.

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