Quando soffia più forte
Quando la voglia di vita scoppia, accade l’impensabile. Basta ascoltarla un po’ più attentamente e darle spazio, per constatare che non si è più soli e che la vittoria sulla morte non è una favola, ma una realtà quotidiana. E infatti non era certo nei programmi di una ragazza africana, che chiameremo Anna, quello di venire in Italia e cimentarsi con un figlio, un neonato da accudire! Invece era proprio accaduto, dopo difficoltà all’apparenza insormontabili, spesso aggravate dalla sua situazione di disabilità fisica e di immigrata. Lasciare la famiglia, a cui è legata da profondo affetto, era stato molto difficile, ma il coraggio e l’entusiasmo avevano avuto il sopravvento: frequentare un’università italiana le avrebbe dato la possibilità di qualificarsi. Anna con le lingue straniere ci sapeva fare, possedeva il dono innato di apprenderle rapidamente e di entrare in relazione con tutti. Intorno le si era ben presto formato un gruppo di amici, con la voglia di condividere, nella città padana, un po’ di Africa, i suoi sapori, i suoi colori, la sua musica e la nostalgia che talvolta spegneva un sorriso o offuscava qualche sguardo intenso e inquieto. Poi, in un pomeriggio reso scintillante dal sole vivace e indiscreto di primo autunno, era entrato nella sua vita Albert, un giovane anch’egli africano. Anna aveva congelato tutte le perplessità e aveva abbracciato quel sentimento forte e sincero, un approdo rassicurante, in un paese ancora straniero e con un handicap fisico che, in qualche modo, le richiedeva di essere ancora più determinata. Era già quasi primavera, ma il tempo sembrava pigramente rimandare qualsiasi serio annuncio di novità. Anna invece viveva davvero una nuova stagione, ma all’insegna di un grande smarrimento: attendeva un figlio! Viste le sue condizioni fisiche la maternità non rientrava nei suoi progetti e neppure in quelli di Albert. Cosa voleva dirle quel bambino? Che stava combattendo inutilmente per un futuro dignitoso? Che non sarebbe stata neppure in grado di essere madre? Che era difficile trovargli una culla in un paese straniero? Le angosce di quei giorni attraversavano il mare, volavano nel villaggio africano e la brezza riportava messaggi di sconforto: neppure la madre di Anna riusciva a trovare sguardi o parole di speranza e consolazione per quella figlia così lontana. Albert era più spaventato di lei, da quel bambino che immaginava somigliante ai fratellini lasciati, con gli occhi grandi e curiosi, con l’eterna vo- glia di giocare e di misurarsi con lui che era il più grande di casa. Anche quando lavorava in cantiere il pensiero era pervaso da quella strana imprevista primavera, che lo teneva con il fiato sospeso: senza una certezza sarebbe stato rischioso mettere al mondo un bambino! E poi in Italia c’era la possibilità di abortire, forse era l’unica soluzione a cui potevano arrivare entrambi. O no? Il dubbio si insinuava dentro l’anima dei due giovani come ad invitarli ad aprire un nuovo sipario; forse uno scenario completamente nuovo poteva salvarli dal buio? Ma la vita soffia più forte della paura, del vuoto e dell’assenza. E qualche volta sempre più spesso assume le sembianze di donne e uomini semplici, ma tenaci, che fanno seguire alle parole fatti concreti di condivisione. Così aiutata dagli operatori del Centro di aiuto alla vita della città, Anna riapre gli occhi, riprende a respirare e a trovare le risposte alle angosce. Questa vita avrà tutte le sue stagioni! Questo bambino era la risposta alla speranza che ha bussato, ha offerto le sue mani, attraverso un progetto di adozione prenatale a distanza, ha consolato con l’accoglienza in un piccolo appartamento per la coppia di genitori, ma soprattutto ha fatto da madre e da fratelli ad Anna e ad Alberto, attraverso i volontari per la vita, che hanno portato con loro i terribili momenti dello scoraggiamento a causa dei problemi fisici. Così quel figlio ha potuto nascere assolutamente sano, in una vera famiglia, con una mamma eroica e un papà responsabile. O meglio sarebbe dire che ha avuto fin da subito una grande famiglia, formata da tutti quelli che, giorno dopo giorno, lo hanno difeso e lo hanno aiutato a inserirsi nel circuito della dignità del più alto dei valori. Questa è la società che vogliamo e che desideriamo trasmettere ai nostri figli, una realtà che sappia difendere il suo futuro, come sosteneva Madre Teresa: che società è quella che rifiuta i suoi figli?