Quando passava Nuvolari. . .
“Quando passa Nuvolari / la gente arriva in mucchio e si stende sui prati / la gente aspetta il suo arrivo per ore e ore / e finalmente quando sente il rumore / salta in piedi e lo saluta con la mano, gli grida parole d’amore / e lo guarda scomparire “quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari”. Altri tempi, quelli evocati della suggestiva canzone di Lucio Dalla. Quando gli spettatori si sedevano sui bordi delle strade per vedere balenare la sua automobile: un rombo, una nuvola di polvere, alle volte due fari che attraversavano veloci il buio” Passava lui, Tazio Nuvolari, il piccolo uomo simbolo dell’Italia che sapeva stupire il mondo. Colui che Ferdinand Porche definiva: “Il più grande pilota del passato, del presente e del futuro”. Tutti i giornaleradio di quel giovedì 11 agosto 1953 trasmettevano la notizia. Alle sei, nel silenzio del mattino, Nuvolari era morto. Era passati poco più di tre anni da quando aveva chiuso con le corse, e non aveva mai annunciato il suo ritiro. Del resto, per lui, vivere senza correre, non era immaginabile. Nel cinquantenario della sua scomparsa, fra le tante manifestazioni dedicate al mitico pilota, anche una mostra – da poco conclusa – a Mantova, la bella città di Virgilio e dei Gonzaga, che gli ha dato i natali. Tazio Nuvolari, classe 1892, rimarrà per sempre il simbolo dell’eroe che non tradiva il pubblico, che continuava a regalargli vittorie impossibili. Dicevano che lui, Nivola, “non partiva mai battuto, non arrivava mai sconfitto “. Infatti, anche se non vinceva, le sue imprese sportive dominavano comunque la scena. Bastava che si sedesse al volante della sua automobile perché si scatenasse sia l’entusiasmo della gente sia la fantasia dei giornalisti sportivi. Rimarrà impresso nell’immaginario collettivo come ce lo ricordano le foto e i filmati dell’epoca: il suo corpo esile, ma d’acciaio, scompariva assorbito dal rosso della sua Alfa Romeo; la testa coperta dal casco di cuoio e dagli occhiali; la maglietta giallo canarino con la scritta nera d’una pubblicità (siamo lontani dagli sponsor della Formula 1!) e con appuntata l’immancabile tartarughina d’oro portafortuna, emblema del regalo ricevuto da Gabriele D’Annunzio: “all’uomo più veloce l’animale più lento”. Certo avrà dovuto ricredersi un bel po’ quell’ufficiale che, durante la Prima guerra mondiale, rimproverò aspramente il giovane autiere Nuvolari che era finito fuori strada con la sua vettura, profetizzandogli incautamente: “Dammi retta, lascia perdere, l’automobile non fa per te”. La febbre per le corse divorava invece fin dalla gioventù il giovanotto mantovano che soltanto nel ’20, a ventotto anni, ottenne la licenza di corridore motociclista; e solo a trentun anni incominciò a correre con assiduità. Dapprima come motociclista: in sella alla sua Bianchi 350, la leggendaria Freccia Celeste, Tazio vincerà tutto ciò che c’è da vincere. Poi l’incontro con l’automobile, quasi fortuito. L’Alfa cercava un pilota per sostituire Ascari morto in un incidente nel G.P. di Francia. Nuvolari accetta: corre cinque giri a medie sempre più elevate, avvicinando addirittura il record stabilito da Ascari l’anno prima. Poi, al sesto giro, incappa in una rovinosa uscita di pista. “Le gomme erano quasi a zero e a un certo punto mi si disinnestò la marcia” spiegherà Tazio. Ma il matrimonio con l’auto è combinato! La Mille Miglia, la coppa Vanderbilt, il G.P. delle Nazioni” uno dopo l’altro i più prestigiosi trofei automobilistici si alzano nelle mani di Nivola. Due aspetti concorrono a fare di Nuvolari, non solo un eccelso sportivo, ma un mito: quasi un novello eroe omerico. Il primo è che Nuvolari si fa interprete di un sentimento tipico del suo tempo: il culto della velocità, celebrato da tanti poeti dell’epoca, ma in particolar modo dai futuristi italiani. “Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità – dettava il Manifesto Futurista -. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia” Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbi- ta” Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente “. Sono gli anni in cui il pittore Giacomo Balla realizza le sue Automobile da corsa che suggeriscono, tra ruote sdoppiate e spirali, la progressione e le onde del moto, l’idea invincibile della velocità. Che il futurista Marinetti aveva già celebrato nell’Ode all’automobile da corsa: “Veemente dio d’una razza d’acciaio, automobile ebbra di spazio, che scalpiti e fremi d’angoscia” scatena i tuoi giganteschi pneumatici, per la danza che tu sai danzare, per le bianche strade di tutto il mondo”. Il secondo aspetto che fa di Tazio un mito e non solo un pilota, è il suo lato umano. La sua indomita determinazione a non arrendersi mai di fronte alle difficoltà. A sfidare continuamente la sorte con sordo, stoico coraggio. Dopo gli svariati e gravissimi incidenti che costellano la sua carriera sportiva, egli è sempre lì, pronto a gareggiare: fasciato, bendato, imbottito di medicinali, ma determinato a correre. Spesse volte, date le condizioni in cui partiva dai box, era assurdo solo pensare di partecipare alla gara. Ma lui correva, per sé o per il pubblico (chissà?) e sempre stupiva. Resisteva al dolore, alla fatica; correva anche quando ormai non più giovane i gas di scarico delle vetture gli davano un forte senso di nausea; correva anche quando ormai anziano e fuori allenamento capitava solo a vedere la partenza d’una corsa, e qualcuno gli offriva un’automobile… Lui correva. E continuava a correre anche quando un nubifragio gli riempiva d’acqua l’abitacolo della sua spider. In una memorabile gara si dice che Nuvolari abbia raggiunto il suo grande rivale Varzi, partito cinque minuti prima di lui, guidando negli ultimi chilometri a fari spenti. Poi la grande impresa del G.P. di Germania del ’34: è al volante di un’auto che è nettamente inferiore alle nuove vetture tedesche. Eppure Tazio mette tutti k.o., firmando quella che è ritenuta la più clamorosa e simbolica delle “vittorie impossibili”. Un’altra volta, in una gara in Inghilterra, un cervo sbuca all’improvviso dal bosco e tenta di attraversare la pista. Nuvolari arriva a circa 130 all’ora e non può schivare l’animale, ma riesce a mantenere il controllo della monoposto, evitando di centrare il parapetto di un ponte. La testa del cervo gli sarà regalata come trofeo, e la stampa inglese lo celebrerà come eroe. E un’altra volta, durante la Coppa Brezzi a Torino, al primo giro è al comando; al secondo transita sul rettilineo del traguardo agitando il volante della sua Cisitalia che gli è rimasto in mano; ma non abbandona, guida per un altro giro con i monconi della staffa alla quale il volante era fissato. Nuvolari divenne il campione che “vinceva anche senza volante”. Ma il colpo più duro è la morte per malattia dei suoi due figli: Giorgio diciannovenne, nel ’39, poi Alberto, diciottenne, nel ’46. Dopo questi lutti egli sembra aggrapparsi alle corse per sopravvivere; corre come l’eroe ferito che combatte il destino sovraumano in totale solitudine; correre diventa il suo antidoto alla disperazione. Chi conosce Mantova sa che uno dei gioielli artistici più preziosi della città è la Stanza degli Sposi, affrescata dal Mantegna. Nell’oculo del soffitto di quella stanza Mantegna ha dipinto un cielo d’un azzurro così incredibile – proprio mozzafiato – con una piccola soffice nuvola bianca. È in un cielo come quello che, mi piace pensare, continua a correre il mito di Nivola.