Quando lunione fa vincere la tappa
Maglia rosa per Vincenzo Nibali. Il merito va diviso con tutta la squadra, direttori sportivi inclusi.
Se per qualcuno il ciclismo è e rimane uno sport puramente individuale disegnato da due gambe scolpite che spingono sui pedali di una bicicletta beh… si sbaglia di grosso. Andatelo a dire ai nove “vagoni” del treno della Liquigas – Doimo che ha divorato l’asfalto lungo le strade della 4°tappa del Giro d’Italia, una cronometro a squadre di trentatre chilometri da Savigliano a Cuneo, funestati da un tempo inclemente e truffaldino.
Compattezza, forza, lucidità, spirito di squadra sono state le caratteristiche del convoglio verde- blu trainato da due carismatiche locomotive che rispondono al nome di Ivan Basso e Vincenzo Nibali che scendendo dalla sua veloce bicicletta in quel di Cuneo ha potuto abbracciare la maglia rosa, il sogno di una vita. Quel simbolo del primato che per un corridore italiano sta al di sopra di tutto anche della fama e della gloria che il Tour de France ti può incollare addosso.
Nibali gongola incredulo, perché lui al Giro non ci doveva essere, era in Sicilia, nella sua terra d’origine che si gustava il riposo e qualche buona granita dopo le fatiche delle classiche del Belgio. Ma, il destino evidentemente riservava al corridore di Messina qualcosa di speciale. “Oggi abbiamo fatto una grande corsa, tutti i miei compagni sono stati eccezionali – Questa vittoria è merito di tutto lo staff della squadra dai direttori sportivi, che ci seguono da quest’inverno pensando a questo momento, fino ai meccanici che hanno saputo consigliarci la posizione più aerodinamica”. Tradotto in un altro linguaggio vuol dire: “Noi non molliamo, nella nostra squadra ognuno diventa fondamentale e siamo coscienti del fatto che grandi mete si possono raggiungere solo insieme”.