Quando lo stagista fa il formaggio

Marina Lorenzon, giovane trevigiana, ha passato la scorsa estate in un’azienda casearia.
Marina Lorenzon (la prima a sinistra)

Ormai è un’ossessione per qualunque giovane sotto i trent’anni: il famigerato stage, inderogabilmente inserito in qualsiasi corso di laurea, ineludibile anticamera dell’occupazione, o del precariato, a seconda dei casi. Ma lo stagista non fa solo fotocopie e caffè: a volte fa pure formaggio. Chiedetelo a Marina Lorenzon, ventinovenne trevigiana, laureata in Scienze della produzione animale all’università di Udine. Approfittando dei 18 mesi di copertura assicurativa post lauream fornita dall’ateneo, Marina ha trascorso l’estate 2011 presso il Centro caseario agrituristico dell’altipiano del Cansiglio per concretizzare quell’idea che le era balenata in testa sin da quando, durante una visita d’istruzione, una “casara” l’aveva invitata a sporcarsi le mani insieme a lei: imparare a fare il formaggio. Dormiglioni astenersi: si inizia alle sei del mattino con la preparazione dell’attrezzatura, e si va avanti fino alle due del pomeriggio tra cagliate, stampi, salagione e confezionamento. Ma senza stress, seguendo i ritmi della natura: «Mi pesava molto di più lavorare quattro ore al giorno in ristorante», osserva ironica la ragazza.

 

Marina, perché hai fatto una scelta così insolita?

«Studiando Scienze della produzione animale, ho capito che le tecniche intensive di allevamento non facevano per me: così mi sono interessata a quelle estensive e alla biodinamica, fino ad arrivare a questo centro. Il difficile è vincere la diffidenza: non ti credono nemmeno quando dici che vuoi fare un lavoro del genere, soprattutto se sei donna. Ma in questo settore, nonostante la crisi, ci sono buone prospettive, perché sono in pochi a saper fare questo lavoro: uno stage mi consente di essere più credibile sotto il profilo professionale».

 

L’esperienza ha soddisfatto le tue aspettative?

«Innanzitutto mi sono trovata bene sotto il profilo umano: a seguirmi, guarda caso, è proprio una donna. Fin dall’inizio ho visto la massima trasparenza e una genuina volontà da parte di tutti di trasmettermi le proprie conoscenze. Inoltre si rispettano i ritmi della natura: è vero che si lavora tanto, ma senza mai arrivare allo sfruttamento della persona o allo stress. E questo mi fa sentire bene».

 

Ora che lo stage è finito, che cosa farai?

«Punto a fare la stagione in malga la prossima estate, poi da fine anno lavorerò in una latteria turnaria di Castions, in provincia di Udine, attualmente in ristrutturazione grazie a fondi regionali. Una latteria come quelle di una volta: ciascun allevatore-socio porta il suo latte direttamente dalla campagna, per ritirare il prodotto una volta lavorato e venderlo perlopiù direttamente al consumatore. È un sistema sostenibile anche per i piccoli produttori, che altrimenti resterebbero soffocati. Per ora i soci sono una quindicina».

 

E in quanto a progetti più a lungo termine?

«La mia vita ideale sarebbe aprire un’azienda agricola. All’università purtroppo si parla poco di biodinamica, ma dopo aver toccato la cosa con mano mi sono appassionata. Poi, certo, bisogna fare i conti con la realtà: già mi ritengo fortunata per aver trovato lavoro al caseificio. Ma sento che è la mia strada».

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