Quando lo sport diventa un’arte
È intorno agli anni Settanta che hanno cominciato a diffondersi in Italia le arti marziali, provenienti dall’estremo oriente, sull’onda dei film di Bruce Lee. Ma cosa si nasconde dietro a questa disciplina di cui a prima vista può venire in luce solo l’aspetto violento del combattimento? Kung fu può essere tradotto letteralmente “lavoro duro” ed è un termine moderno usato comunemente per indicare l’insieme delle arti marziali cinesi, pare esistano più di trecento stili, ognuno con le proprie particolarità. Forse il più noto è il Tai Ji Quan. Ma cosa si fa in una scuola tradizionale di kung fu? Il maestro Paolo Cangelosi è un noto professionista del settore a livello internazionale: nelle scuole da lui aperte un po’ in tutta Italia, si cerca di diffondere il corretto messaggio delle arti marziali. Qui la pratica non viene finalizzata esclusivamente alla difesa personale o al semplice agonismo sportivo, che sono solo l’espressione esterna del kung fu, ma l’arte marziale viene abbracciata nella sua totalità con i suoi aspetti culturali, storici, filosofici, l’uso delle armi, la meditazione e la “ginnastica interna” taoista (Qi Qong). Questo approccio aiuta, si afferma, la pratica del com- battimento a diventare motivo di crescita personale, prendere cioè coscienza delle proprie malizie e paure al fine di migliorare il carattere e le capacità di relazione con l’altro. Inoltre, caratteristica di questa scuola è quella di praticare più stili: questo consente di testare la propria persona in un’ampia e profonda ricerca delle potenzialità fisiche, mentali ed energetiche. Il riequilibrio e il potenziamento delle energie (Qi) permette di affrontare con nuove forze le avversità della vita, secondo i principi ispiratori della medicina tradizionale cinese, notoriamente legata alla filosofia. Il kung fu non si presenta dunque esclusivamente come una lotta fisica con un avversario, ma principalmente come una lotta interiore per equilibrare gli “opposti” e i “complementari” che esistono dentro di noi, il corporeo e il mentale, il femminile e il maschile, lo yin e lo yang su cui si basa tutta la cultura cinese. Non bisogna eliminare, sostengono, né l’uno né l’altro, bensì svilupparli in equilibrio. L’arte marziale, nella sua stessa definizione, unisce dunque l’elemento marziale a quello di arte, l’arte del lavoro su sé stessi che può portare il praticante alla scoperta di strade interessanti per indagare se stesso tanto da aiutarlo a toccare il divino. “Sono arrivato al kung fu per caso, dopo aver praticato molti sport – racconta Guido Bernardini, medico, diplomato in medicina cinese, da 10 anni allievo della scuola di Paolo Cangelosi e collaboratore all’insegnamento delle arti marziali tradizionali cinesi presso l’Istituto Universitario di Scienze Motorie di Roma -. Cercavo una percezione più rigorosa del corpo e del respiro: con la pratica delle arti marziali ho trovato nuove strade per accedere alle dimensioni più interiori di me stesso, cosa che gli sport praticati non erano stati in grado d’insegnarmi. Col tempo ho capito che persino il mio essere cristiano veniva stimolato dal contatto con le filosofie orientali e, grazie al confronto fra i diversi modi di cercare la “verità”, penso di essere riuscito a comprendere meglio alcuni aspetti della mia religione”. I frequentatori della palestra testimoniano come il kung fu sia disciplina adatta, per la sua versatilità, ad ogni età: dagli adolescenti (molte le ragazze), attratti dalle gestualità più eclatanti, agli anziani, in ricerca di una pratica delicata, salutare e più interiore. Il kung fu è un’attività molto indicata anche per i bambini. “In palestra cerchiamo di far esprimere i nostri piccoli allievi in tutta la loro creatività e miriamo – spiega Guido Bernardini nella sua veste di insegnante di kung fu a bambini dai 5 ai 12 anni presso l’Associazione Tao Chi-Ki Do sulla Casilina a Roma – a far sì che, con lo spirito del gioco, imparino a conoscersi meglio, a percepire le proprie potenzialità e a migliorare le capacità di relazione con gli altri. Durante gli allenamenti tengo sempre presente l’elemento filosofico degli opposti, per cui posso ritrovarmi a far urlare i bambini quanto più possono per poi farli muovere in circolo fino a perdere l’equilibrio e cadere per terra tra le risate di tutti. Per finire, con un comando preciso, posso esigere il silenzio assoluto o che si sdraino per terra in rilassamento “. L’apprendimento codificato della tecnica rimane tuttavia la premessa affinché poi ciascuno possa esprimersi liberamente secondo le proprie potenzialità e caratteristiche. “Da alcuni anni mi occupo dei più giovani – conclude Guido – e posso dire di aver visto bambini timidi o, al contrario, aggressivi e irrequieti, migliorarsi attraverso la pratica del kung fu. In ogni caso gli allievi prendono più coscienza del proprio corpo, migliorano la coordinazione, con benefici sulla salute e sulla crescita”.