Quando lo sport dà il buon esempio
Nell’epoca dei social che gridano qualsiasi cosa, delle esternazioni incontrollate di narcisi danarosi, degli eccessi che diventano norma, della centralità assoluta data al dio denaro… alcuni esempi di personaggi sportivi di massimo livello hanno fatto bene al cuore, perché hanno riportato in primo piano uno dei fondamenti della vita pubblica: il buon esempio, l’applicare alle proprie esistenze il dovere educativo, quello che costruisce e non distrugge, quello della conciliazione e non della polarizzazione.
Il portiere del Milan Mike Maignan, francese nato in Guyana, in occasione della partita giocata a Udine il 20 gennaio, è stato oggetto di pesantissime allusioni razziali. Una, due, tre volte, poi il portierone ha preso la via degli spogliatoi.
Solo l’opera di paziente convincimento attuata da Stefano Pioli, il suo allenatore, ha potuto riportarlo in campo. Un momento di alta emozione, che ha avuto come risultato un’attenzione rinnovata alla grave tentazione del razzismo da parte di istituzioni pubbliche e private. Inutile dire che gli stadi sono troppo spesso una zona franca in cui gli istinti più beceri trovano una zona di impunità, oltre che di visibilità.
Le società calcistiche hanno una grossa difficoltà a emarginare le tendenze xenofobe, razziste e persino antisemite, che spesso nascono in persone senza un’adeguata cultura, che sfogano in questo modo tendenze di aggressività repressa, senza nemmeno sapere che cosa voglia dire antisemitismo, razzismo o xenofobia. Una questione di stupidità, prima che di volontà.
Jurgen Norbert Klopp, per rimanere in campo calcistico. L’allenatore del Liverpool dal 2015 ha un palmarès da paura ed è considerato nel novero dei tre o quattro migliori allenatori dell’Europa, se non del mondo. Uno di quelli che riesce a tenere in mano non solo la propria squadra, ma anche il circo mediatico che cresce intorno alle grandi équipe. Cosa mai ha fatto Klopp? Semplicemente ha dichiarato che è stanco, che è stufo dello stress con cui deve fare i conti da mane a sera, vuole respirare, vuole fare altro, vuole inventarsi un altro futuro, lui che da quando era adolescente non ha mai fatto altro che vedere 22 giocatori in mutande correre dietro un pallone di cuoio. C’è altro nella vita.
Invece Jannik Sinner, eroe nazionale da qualche settimana, non vuole fare altro che far lo sportivo: ha così declinato l’invito a partecipare al Festival di Sanremo, molto Amadeus e poco Mozart, semplicemente adducendo la ragione più lapalissiana: «Debbo allenarmi». Contestualmente, ha affermato di non amare i social e di non usarli.
In epoca di visibilità estrema, di presenzialismo da tagliare il fiato, il 22enne altoatesino ha mostrato una maturità fuori dal comune, evitando di incappare negli eccessi del narcisismo da sovraesposizione mediatica. Tanto di cappello per una persona che, pur mantenendo il senso delle istituzioni – ha incontrato Mattarella e Meloni, oltre che il presidente della Federtennis nella sua sede – non ha indugiato nelle sollecitazioni mediatiche extrasportive.
Tre esempi, tra i tanti possibili, che rinnovano il senso vero della pratica dello sport, anche ai più alti livelli mondiali, in modo moderato, sobrio, educativo. Lo sportivo è naturalmente esposto al giudizio del pubblico, e nello stesso tempo ha da essere persona dai comportamenti irreprensibili per il fatto che diventa un modello per milioni di persone, soprattutto giovani. Non credo che gli atteggiamenti di Sinner, Maignan e Klopp siano stati studiati a tavolino, avevano qualcosa di naturale, di inveterato. Che poi ne abbiano parlato nel loro staff, o che abbiano rimuginato la cosa nella propria mente, questo è possibile e anche probabile, e appare giusto.
Nella società dello spettacolo, nell’infosfera imperante è essenziale mantenere l’aplomb, non farsi condizionare da rigurgiti narcisisti. Ben vengano quindi le dichiarazioni di affaticamento da parte di Klopp, il vaso troppo pieno dei veleni del razzismo del portiere del Milan, del rifiuto di Sinner di mutar pelle e diventare personaggio da studio televisivo. Ben vengano, cioè, tutti quei comportamenti che evidenziano i limiti umani e li sanno rispettare.