Quando l’importante è partecipare
Dopo le rivolte della transizione araba si torna a giocare. Libia, Botswana e Niger già eliminate, ma per loro, mai come questa volta, è davvero valido il motto del barone de Coubertin
La ventottesima edizione della Coppa d’Africa di calcio è entrata ormai nella fase cruciale. Mercoledì prossimo si giocheranno le semifinali (Zambia-Ghana e Mali-Costa d’Avorio), poi, domenica 12 febbraio, le formazioni vincenti disputeranno la finalissima nel nuovo avveniristico stadio di Libreville, in Gabon, il paese che insieme alla Guinea Equatoriale sta ospitando dal 21 gennaio questo torneo. Ancora qualche giorno, quindi, e sapremo chi succederà nell’albo d’oro di questa manifestazione all’Egitto, vincitore delle ultime tre edizioni (2006, 2008 e 2010).
Quest’anno, a dire il vero, lo spettacolo non è stato tecnicamente eccelso, vista anche l’assenza di alcune squadre di primo piano nel panorama continentale africano come quella dello stesso Egitto, ma anche come quelle del Camerun, della Nigeria, dell’Algeria e del Sud Africa, quattro formazioni che, tanto per intenderci, erano al via del mondiale 2010. Nonostante ciò, la Coppa d’Africa 2012 ha comunque saputo portare alla luce tante storie degne di nota.
L’ultima partita di Samir – Dopo i fatti che nel 2011 hanno segnato la fine della dittatura di Gheddafi, in questo torneo gli occhi dei media di tutto il mondo erano puntati principalmente sui giocatori della nazionale di calcio libica, presenti con una nuova bandiera, un nuovo inno ed anche una maglia tutta nuova. Dopo una sconfitta nella partita inaugurale contro i padroni di casa della Guinea Equatoriale, e un pareggio contro lo Zambia, ai “cavalieri del Mediterraneo” non è stato sufficiente vincere l’ultima partita del girone contro il Senegal per passare il turno. Nonostante ciò, questo risultato non è stato certo vissuto come una sconfitta: «Dopo tutto quello che ci è accaduto nell’ultimo anno la cosa più importante era comunque essere qui», hanno dichiarato all’unisono i componenti della delegazione libica.
Tra i giocatori simbolo di questa squadra, un posto di rilievo se lo è conquistato certamente Samir Aboud, il portiere che l’allenatore brasiliano Marcos Paqueta ha voluto mettere in campo anche per dimostrare al mondo intero che in quel Paese qualcosa è davvero cambiato. Pur essendo da anni il miglior estremo difensore del campionato libico, infatti, Samir, per le sue posizioni distanti da quelle del leader deposto, è stato spesso osteggiato perché il regime aveva più volte imposto al ct di turno della nazionale di non schierarlo tra i titolari. Oggi, a 39 anni, pochi ormai credevano che Samir potesse ancora avere una chance, ma alla fine lui si è preso la sua “rivincita” e ha potuto concludere la sua esperienza in nazionale con l’insperata partecipazione, da titolare, a questo torneo.
La prima volta di Botswana e Niger – Le nazionali del Botswana e del Niger in questo momento sono classificate intorno alla centesima posizione del ranking mondiale. Entrambe, prima di questa Coppa d’Africa, non erano mai riuscite a qualificarsi per la fase finale. A conclusione per loro il verdetto del campo è stato inappellabile: tre sconfitte in tre partite e conseguente eliminazione già dal primo turno. Ma, anche in questo caso,il risultato è passato in secondo piano rispetto al solo fatto di poter partecipare, soprattutto considerando le difficoltà che i giocatori di questi due Paesi hanno dovuto affrontare per poter essere presenti al via.
A fine dicembre, ad esempio, i calciatori del Botswana hanno iniziato una “trattativa” con la loro federazione per cercare di ottenere il riconoscimento di un piccolo premio in denaro e un rimborso spese giornaliero un poco più congruo di quello loro proposto (chiedevano circa 50 Euro contro i 10 offerti dalla Federcalcio del Botswana). Non c’è stato nulla da fare: «Per partecipare alla Coppa d’Africa le casse della federazione si sono svuotate, chi vuole rinunciare è libero di farlo», è stata la risposta. Così, alle “zebre”, pur di non perdere l’opportunità più unica che rara di prendere parte al torneo, non è rimasto altro da fare che accettare l’out-out della federazione, anche a costo di rimetterci qualcosa di tasca propria.
Ancora più complicato il cammino che hanno dovuto fare in Niger. Stiamo parlando di uno dei più poveri del mondo, con problemi molto più importanti rispetto a quello di trovare i fondi necessari per partecipare a un evento sportivo. Tuttavia, tutti si sono sentiti in dovere di fare la propria parte, dal Presidente fino alle compagnie che in questo Stato si occupano dell’estrazione dell’uranio. Gli sforzi fatti, però, non erano ancora sufficienti, così il Governo ha imposto una piccola tassa sulle conversazioni telefoniche(pochi decimi di millesimi di euro per ogni telefonata), così che tutti potessero contribuire a pagare la spedizione delle “gazzelle”. E alla fine la nazionale del Niger è potuta scendere in campo.
Eh già, negli ultimi tempi in Africa il calcio si è spesso fermato per dare spazio alle tante rivolte che, dopo la transizione araba, hanno rivoluzionato l’assetto geopolitico della parte settentrionale del continente. Ora si è tornati finalmente a giocare, e in alcuni casi il risultato è davvero passato in secondo piano rispetto al solo fatto di poter partecipare. Proprio come sarebbe piaciuto al barone de Coubertin.
Quest’anno, a dire il vero, lo spettacolo non è stato tecnicamente eccelso, vista anche l’assenza di alcune squadre di primo piano nel panorama continentale africano come quella dello stesso Egitto, ma anche come quelle del Camerun, della Nigeria, dell’Algeria e del Sud Africa, quattro formazioni che, tanto per intenderci, erano al via del mondiale 2010. Nonostante ciò, la Coppa d’Africa 2012 ha comunque saputo portare alla luce tante storie degne di nota.
L’ultima partita di Samir – Dopo i fatti che nel 2011 hanno segnato la fine della dittatura di Gheddafi, in questo torneo gli occhi dei media di tutto il mondo erano puntati principalmente sui giocatori della nazionale di calcio libica, presenti con una nuova bandiera, un nuovo inno ed anche una maglia tutta nuova. Dopo una sconfitta nella partita inaugurale contro i padroni di casa della Guinea Equatoriale, e un pareggio contro lo Zambia, ai “cavalieri del Mediterraneo” non è stato sufficiente vincere l’ultima partita del girone contro il Senegal per passare il turno. Nonostante ciò, questo risultato non è stato certo vissuto come una sconfitta: «Dopo tutto quello che ci è accaduto nell’ultimo anno la cosa più importante era comunque essere qui», hanno dichiarato all’unisono i componenti della delegazione libica.
Tra i giocatori simbolo di questa squadra, un posto di rilievo se lo è conquistato certamente Samir Aboud, il portiere che l’allenatore brasiliano Marcos Paqueta ha voluto mettere in campo anche per dimostrare al mondo intero che in quel Paese qualcosa è davvero cambiato. Pur essendo da anni il miglior estremo difensore del campionato libico, infatti, Samir, per le sue posizioni distanti da quelle del leader deposto, è stato spesso osteggiato perché il regime aveva più volte imposto al ct di turno della nazionale di non schierarlo tra i titolari. Oggi, a 39 anni, pochi ormai credevano che Samir potesse ancora avere una chance, ma alla fine lui si è preso la sua “rivincita” e ha potuto concludere la sua esperienza in nazionale con l’insperata partecipazione, da titolare, a questo torneo.
La prima volta di Botswana e Niger – Le nazionali del Botswana e del Niger in questo momento sono classificate intorno alla centesima posizione del ranking mondiale. Entrambe, prima di questa Coppa d’Africa, non erano mai riuscite a qualificarsi per la fase finale. A conclusione per loro il verdetto del campo è stato inappellabile: tre sconfitte in tre partite e conseguente eliminazione già dal primo turno. Ma, anche in questo caso,il risultato è passato in secondo piano rispetto al solo fatto di poter partecipare, soprattutto considerando le difficoltà che i giocatori di questi due Paesi hanno dovuto affrontare per poter essere presenti al via.
A fine dicembre, ad esempio, i calciatori del Botswana hanno iniziato una “trattativa” con la loro federazione per cercare di ottenere il riconoscimento di un piccolo premio in denaro e un rimborso spese giornaliero un poco più congruo di quello loro proposto (chiedevano circa 50 Euro contro i 10 offerti dalla Federcalcio del Botswana). Non c’è stato nulla da fare: «Per partecipare alla Coppa d’Africa le casse della federazione si sono svuotate, chi vuole rinunciare è libero di farlo», è stata la risposta. Così, alle “zebre”, pur di non perdere l’opportunità più unica che rara di prendere parte al torneo, non è rimasto altro da fare che accettare l’out-out della federazione, anche a costo di rimetterci qualcosa di tasca propria.
Ancora più complicato il cammino che hanno dovuto fare in Niger. Stiamo parlando di uno dei più poveri del mondo, con problemi molto più importanti rispetto a quello di trovare i fondi necessari per partecipare a un evento sportivo. Tuttavia, tutti si sono sentiti in dovere di fare la propria parte, dal Presidente fino alle compagnie che in questo Stato si occupano dell’estrazione dell’uranio. Gli sforzi fatti, però, non erano ancora sufficienti, così il Governo ha imposto una piccola tassa sulle conversazioni telefoniche(pochi decimi di millesimi di euro per ogni telefonata), così che tutti potessero contribuire a pagare la spedizione delle “gazzelle”. E alla fine la nazionale del Niger è potuta scendere in campo.
Eh già, negli ultimi tempi in Africa il calcio si è spesso fermato per dare spazio alle tante rivolte che, dopo la transizione araba, hanno rivoluzionato l’assetto geopolitico della parte settentrionale del continente. Ora si è tornati finalmente a giocare, e in alcuni casi il risultato è davvero passato in secondo piano rispetto al solo fatto di poter partecipare. Proprio come sarebbe piaciuto al barone de Coubertin.