Quando l’elettricità ha il singhiozzo

Una settimana in Burkina Faso in attesa di energia per svolgere il proprio lavoro, ma soprattutto per sopravvivere

Il vostro cronista è in uno dei Paesi più poveri del mondo, cioè in Burkina Faso, ex Alto Volta. Anzi, non è uno dei Paesi più poveri ma più impoveriti: il reddito pro capite è minimo, seppur il Paese abbia risorse e potenzialità non di poco conto, ma guarda caso esse sono nelle mani, quasi sempre, dell’ex colono che abita dalle parti di Parigi. Ex per modo di dire, qui la Francia è onnipresente. Anche la buona birra Brakina, che ieri ho gustato, appartiene a una società d’oltralpe.

Sono in Burkina Faso, come i lettori sanno, per animare un seminario di “giornalismo dialogico” che ha avuto un certo successo. La cerimonia finale, con la consegna degli attestati di partecipazione è stata a suo modo una gran festa e un calvario per la mancanza di elettricità. Che va e viene quando è come vuole.

La cosa potrebbe essere un danno per i professionisti come il sottoscritto, e in realtà lo è. Ma lo è soprattutto per la gente comune pensando che qui le temperature non fanno sconti, viaggiando costantemente sopra i 30 e raggiungendo i 40 (talvolta superandoli). Vi lascio immaginare per un europeo la qualità delle notti, oltre che dei giorni.

Qui la precarietà è norma, non eccezione. Bisogna conviverci. Bisogna sempre aspettare il momento opportuno. Tocca far di necessità virtù, non lamentarsi e mettersi sotto un albero ad aspettare che la corrente torni, visto che le case hanno i muri troppo caldi per restarci dentro.

Un insegnamento per noi europei sempre di corsa, e per noi giornalisti sempre sulla notizia. Ma non meravigliamoci se poi qualche giovane locale voglia far fortuna altrove. Non basteranno i classici pannelli caldi a frenare l’ondata di questi ricercatori di una vita meno precaria. Ma non basteranno neppure i muri.

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