Quando la divinità avvicina
Conflitto iracheno e israelo-palestinese, disordini violenti nell’universo indiano tra indù e musulmani, scontro politico-religioso in Tibet, guerriglia nel sud delle Filippine… I luoghi dove si incrociano civiltà e religioni sembrano voler dire che le fedi sono innanzitutto sorgenti di conflitto. I media, troppi media, si gettano su queste tensioni come mosche sulla immondizia, ingigantendo dettagli e nascondendo l’insieme, sottolineando giorni di sangue e occultando secoli di convivenza. È uno dei problemi della globalizzazione. La diabolica potenza della divisione viene da tanti denunciata, mentre si vorrebbe favorire la potenza simbolica dei momenti di fratellanza. In questa corrente, peraltro multiforme e variegata, un posto a sé ha il Movimento dei focolari, che da quarant’anni è impegnato nel capitolo appassionante (e ormai ineludibile) del dialogo interreligioso. Da trent’anni a questa parte in particolare, è stata avviata una fase che associa il dialogo della vita – prima via di relazione – con il dialogo del pensiero. È la stagione di simposi bilaterali che raccolgono cristiani e indù, cristiani e buddhisti, cristiani e musulmani, cristiani ed ebrei… Nel mese di aprile, a Castelgandolfo, si sono svolti i due primi. Ne parliamo con Giuseppe Maria Zanghì, corresponsabile corresponsabile del dialogo interreligioso nei Focolari. Qual è, secondo lei, il quadro nel quale si svolgono questi simposi? Ritengo che questi siano momenti in cui ci si apre alla contemplazione dello splendore della Verità. Questi incontri portano una delle risposte alla necessità più profonda, del nostro tempo. I media stanno facendo crollare i muri di separatezza all’interno dei quali le nostre culture per secoli hanno vissuto. Le comuni- cazioni oggi sono sempre meno di gruppi, di élite, e tendono a diventare di popolo. Da qui, il rischio non ipotetico di una non comprensione reciproca, di un non essere capaci di uscire da sé stessi per incontrare l’altro nel rispetto della sua alterità. Da qui il rischio terribile – e questo, purtroppo reale – di scontri mortali di civiltà, nei quali ciò che dovrebbe essere fonte di avvicinamento di noi finiti all’Infinito che è Dio, diventa causa di morte. Diventa, alla fine, negazione di Dio stesso. Questo il contesto. E la proposta insita in questi simposi? Oggi il dialogo tra le grandi culture, soprattutto nel loro fondo religioso, nella loro radice nell’Assoluto, è imperativo. E ci costringe ad affacciarci su un orizzonte che può atterrire ma, anche, aprire alle speranze più grandi e accendere nuova gioia nei nostri cuori. Ognuno dei partecipanti a questi simposi è portatore di una tradizione ricca e complessa, che affonda le sue origini certamente in quel Dio che vuole farsi conoscere e amare dalle sue creature. Il carisma dell’unità del che tutti siano uno, apre uno spazio privilegiato di incontro. Esso è insieme luce che orienta, calore che scioglie le rigidezze, festa di incontro e di comunione. Quale il metodo di questi simposi? Sicuramente non sono simposi classici, in cui si confondono o scontrano visioni diverse della religione e del mondo. Le differenze sono presenti, ma inserite in un contesto particolare. Il presupposto sta nel fatto che ciascuno deve essere per l’altro, per tutti gli altri, un riflesso del volto di Dio che con tenerezza ci cerca, ci cerca amandoci, ci ama illuminandoci. E ciò è possibile se ciascuno cerca in tali incontri una cosa sola: lasciar vivere in sé l’Assoluto, l’Amore, vuotandosi di sé per essere pienezza traboccante di Dio. Così sarò nulla di me, quel nulla che è amore, perché per amore mi do tutto all’altro. È quindi fondamentale l’ascolto dell’altro, l’accogliere l’altro come accolgo Dio stesso, nella fedeltà piena alla mia tradizione. Risultati? Non sono tanto da valutare nell’immediato – seppure si possa dire che la gioia dello stare insieme sia tangibile, così come l’arricchimento intellettuale reciproco -, quanto nel lungo periodo. Questi simposi contribuiscono a creare quella che chiamerei atmosfera di dialogo necessaria per avvicinare mondi culturali e religiosi così distanti. Ci si ama reciprocamente, e in questo amore ci si rispetta e, per quanto possibile, ci si comincia capire.