Quando la crisi economica uccide
Sopravvivere alla crisi economica si può. Anzi, si deve. Ma come si può allontanare la disperazione che assale chi non riesce a trovare un lavoro o chi lo perde? E come si può frenare l’allarmante aumento di suicidi che si sta registrando in Italia?
I dati parlano chiaro: nel nostro Paese si muore sempre più di disperazione. Certo, ha sottolineato il premier Monti nei giorni scorsi, i livelli della Grecia (con circa 1.800 suicidi registrati dall’inizio dell’anno) sono lontani, ma la situazione non va sottovalutata. I numeri, del resto, fanno tremare i polsi. È dal 2009, anno in cui è scoppiata la crisi, che – si legge nel rapporto dell’Istituto di Ricerche economiche e sociali Eures – i suicidi sono in aumento. Nel solo 2010, addirittura, si è tolto la vita quasi un disoccupato al giorno. Disperata anche la situazione di molti imprenditori: nei primi quattro mesi del 2012 si sono tolti la vita in 24. Ma come frenare quest’ondata di impotenza e disperazione che sta colpendo anche gli ottimisti italiani?
A Porto Garibaldi, nel comune di Comacchio in provincia di Ferrara, un pescatore sommerso dai debiti ha cercato di impiccarsi a bordo del suo piccolo peschereccio. Alcuni colleghi lo hanno visto e, raggiungendolo in pochi istanti, lo hanno salvato. Un salvataggio che è andato oltre la tragidcità del momento, visto che i pescatori sono riusciti a donargli, con una colletta, 10 mila euro, proprio quanto gli serviva per i debiti più urgenti.
Anche nel Nordest sono in tanti a mobilitarsi per evitare che quella che era la culla delle piccole imprese italiane possa diventarne anche la tomba. Stando ai dati diffusi dalla Cgia di Mestre, dal 2008 al 2010 i suicidi e i tentativi di suicidi sono cresciuti di circa il 20 per cento. Dall’inizio dell’anno, solo nel Veneto, sono già una decina i piccoli imprenditori che non sono sopravvissuti alla disperazione. Ma allora cosa fare?
A Padova, la Camera di commercio ha istituito già dal 2010 un numero verde anticrisi (800510052) per gli imprenditori in difficoltà. Nella provincia padovana, a Vigonza, c'è l’associazione familiari di imprenditori suicidi. A Treviso è invece nato, dallo scorso mese di marzo, il progetto Penelope, che raccoglie intorno alla Caritas diocesana, vero motore dell’operazione, associazioni professionali e la fondazione Banche di credito cooperativo. Il promotore di quest’opera di “tessitura” che intende avvolgere con atti di solidarietà concreta chi si trova in difficoltà, è il direttore della Caritas tarvisina, don Davide Schiavon. Dal punto di vista tecnico, quando una persona chiede aiuto al centro di ascolto (che è stato aperto a febbraio) viene seguita dagli operatori e dalle associazioni di categoria. Il primo passo è cercare di capire se l’azienda può riprendersi, magari con un piccolo aiuto della Fondazione Bcc o il ricorso ad altri fondi. In caso contrario si valuta la professionalità dell’imprenditore, per cercare di ricollocarlo in qualche altra realtà. Se l’azienda fallisce, si valuteranno infine altre possibilità lavorative. «Contemporaneamente – spiega don Schiavon – la comunità deve prendersi cura di queste persone, aiutandole a ricostruire la propria vita e a trovare un senso per andare avanti».