Quando il prof scende di cattedra
Conosco da tempo Adriana Stacca, da quando, molto giovane, era agli inizi della carriera universitaria. Si è poi sposata, sono nati due figli. La ritrovo in un momento cruciale della sua esistenza. La recente scomparsa della mamma, dopo una lunga malattia, molto dolorosa, ha lasciato un segno profondo. Le domando come sia riuscita a conciliare gli impegni della ricerca scientifica e dell’insegnamento con quelli inerenti la famiglia. Non è stato – dice – sempre facile, anzi! Ma avere in casa due ragazzi, all’incirca dell’età dei miei studenti, mi ha permesso di relazionarmi con loro in modo più appropriato. Spesso mi sono chiesta, nell’approfondimento di temi di ricerca inerenti al diritto, soprattutto in quell’ordinamento così complesso qual è il diritto penale, come esercitare il mio ruolo di orientamento culturale nei confronti di tanti giovani che attendono, e sperano, in una formazione giuridica completa. Ho trovato in una frase del Vangelo la risposta: Ecco, io sono in mezzo a voi come uno che serve. Dunque: al posto della visibilità, senza la quale sembrerebbe difficile poter acquisire quel prestigio cui ogni docente legittimamente aspira, occorreva, in certo modo, scendere dall’alto della cattedra, per poter risalire insieme la china. Ci ho provato, non sempre riuscendoci. Ma tutte le volte che l’ho fatto, è stato possibile comunicare realmente agli studenti i frutti dei miei studi. Giorno dopo giorno, col passare degli anni, in tal modo il suo lavoro di docente è diventato anche un impegno nell’orizzonte della condivisione, oltre i confini del mondo accademico e delle aule giudiziarie. Una mattina, ricorda Adriana, si trovava, come di consueto, nello studio del dipartimento presso la facoltà. Approfondiva in quei giorni come offrire, anche sul piano pratico, suggerimenti o soluzioni che, pur al di fuori delle aule del tribunale, potessero accordare giustizia anche dinanzi ad una offesa. Ma, quando le minacce si ripetono e la paura si fa tangibile, è possibile fare qualcosa per la persona che le subi- sce ed impedire conseguenze più gravi? Un tema poco esplorato. Il codice penale interviene ad indicare attraverso le norme i percorsi da seguire allorché un reato è stato commesso. L’attenzione, in ogni caso, non è centrata sulla possibile vittima del reato, quanto sul reato stesso. Qualcuno – racconta – bussò alla porta. Era una studentessa, che peraltro non conoscevo, ma che desiderava parlare proprio con me. Iniziò un racconto personale: riguardava la difficile e preoccupante situazione della sua famiglia dinanzi alle minacce di cui la sorella, adolescente, era fatta oggetto da parte di una persona del suo stesso paese. La serenità in famiglia era persa, e la vita della ragazza un incontro quotidiano con la paura. Che fare? Si poteva eventualmente inoltrare una denuncia all’autorità giudiziaria, ma con quale ulteriore pericolo per la sorella e per l’intera famiglia, possibile obiettivo di ritorsioni? Accogliere quell’angoscioso interrogativo, far mia la preoccupazione di quella famiglia, diveniva un tutt’uno con la mia scelta di vita. Veniva meno, in questa logica, la categoria dell’estraneo e quella studentessa, mai conosciuta prima, diventava un’altra me stessa cui dedicare il mio tempo e le mie capacità. Ebbi cura di verificare, nel corso della ricerca, se le norme vigenti in materia di pubblica sicurezza contemplassero modalità, forse poco conosciute o praticate, di composizione dei dissidi attraverso un tentativo di conciliazione, esperibile ad opera degli ufficiali e su richiesta delle parti. C’era. Nel ginepraio di codici e norme, la prof. Stacca, imitando – nel bene – il dottor Azzeccagarbugli di manzoniana memoria, individuò quella adatta al caso che le era stato presentato. Provai, con la dovuta prudenza, a suggerire – prosegue – questo percorso: avrebbe potuto evitare un eccessivo coinvolgimento dell’adolescente, da custodire, ma nel contempo il richiamo rivolto all’autore delle minacce poteva costituire un primo passo per indurlo al cambiamento nella condotta. Al suggerimento, quella studentessa reagì con sollievo e nuova fiducia. Ci lasciammo, in attesa di prossimi nuovi sviluppi. Qualche tempo dopo, un nuovo incontro: il sorriso della ragazza mi fece capire, prima ancora che parlasse, che la strada percorsa aveva portato frutto. Ogni ragazzo è un mondo, attorno a cui girano sentimenti, affetti, aspettative. Dentro ciascuno di questi ragazzi, c’è tutta una storia familiare e personale: chissà quali vicende stanno attraversando! Ricordo in particolare uno di loro, che avevo seguito per alcuni mesi con la consueta attenzione nella preparazione della sua tesi di laurea. Poco prima del gran giorno, venne a trovarmi, anche per impostare insieme la discussione della tesi in sede di laurea. Mi domandò se era possibile scrivere una dedica nelle copie dell’elaborato. Gli spiegai che sarebbe stato meglio non farlo, almeno in quelle che si depositano all’università. Prima della laurea, mi consegnò la copia della tesi, dicendomi: Mi sono permesso di scrivere qualcosa alla fine. La dedica di cui mi aveva parlato era per me. A di là delle frasi di circostanza, la sua gratitudine nei miei confronti era dovuta, principalmente, per la disponibilità, lo stimolo e l’incoraggiamento a proseguire gli studi, in un periodo di profondo dolore e angoscioso smarrimento in seguito alla perdita di un caro affetto. E questo, mi par di capire, vale per Adriana Stacca quanto un prestigioso riconoscimento accademico.