Quando il ghiaccio si vendeva porta a porta
Viaggio nella Ghiacciaia del Re, nel Parco delle Alpi Marittime
Con Raffi, ed Eraldo oggi abbiamo scelto un’ escursione tosta. La giornata è splendida, il cielo terso, l’aria frizzante. Saliamo il vallone del Dragonet, uno dei luoghi più appartati e selvaggi nel cuore delle Parco delle Alpi Marittime. Siamo in un ambiente freddo e solitario: questo vallone anticamente era chiamato “la ghiacciaia del Re”. Da qui veniva prelevato il ghiaccio per essere portato alle Terme di Valdieri, allora dimora estiva dei reali di casa Savoia.
Saliamo a fatica: il sentiero si inerpica ripido, e il sole si vede solamente per poche ore nei mesi estivi. Si supera il divacco Niculin Gandolfo, tappa per scalatori delle pareti impervie del gruppo dell’Argentera, mentre il vallone va a morire sotto le pareti nord dell’Asta Soprana e della Sottana. D’inverno manco parlarne di sci alpinismo: la parte bassa è sbarrata da grandi salti di roccia, superabili per un canalino che richiede un forte innevamento. Anche senza raggiungere una cima o un colle – ci diciamo consolandoci per la fatica – questo sentiero merita di essere ripetuto, se non altro per il percorso severo e opprimente da “amatori delle nord”. Qui, a quota 2781, inizia un ghiacciaio possente profondo parecchi metri, tutto a nord e quindi ben protetto dal sole.
La storia si fa interessante, perché non solo questa era la ghiacciaia del Re, ma vi facevano rifornimento i venditori di ghiaccio che poi passavano le città e i paesi delle provincie di Cuneo e di Torino a vendere “l’oro blu”. Raccontano le cronache del comune di Valdieri che un certo Gottardo Schwarzembak, ingegnere di Milano, nel 1904 depose al protocollo del comune la richiesta di estrarre ghiaccio per un periodo di nove anni presso il ghiacciaio del Dragunet al costo di 100 lire a stagione. Qui un gruppo di operai del comune trovava lavoro grazie all’imprenditore milanese. Da fine maggio ad inizio settembre salivano la valle armati di seghe, accette e mannaie, “estraevano” cubi di ghiaccio, e attraverso un ingegnoso meccanismo di cavi in acciaio, tipo teleferica, lo portavano a valle. Qui i carrettieri lo caricavano sui loro mezzi, dopo averne fatto dei pani da un metro di lunghezza per venti centimetri di larghezza e altezza. Poi prendevano la strada della pianura e consegnavano i blocchi ai ristoranti, ai bar e alle aziende agricole fornite di apposite ghiacciaie poste nelle cantine.
Ghiaccio e sale erano i soli modi per la conservazione degli alimenti: e la fabbrica del ghiaccio faceva affari, tanto che nel 1910 al comune di Valdieri vennero depositate quattro offerte per l’estrazione, vi fu un’asta alla fine della quale Schwarzembak si ritirò e l’appalto per gli anni successivi andò ad un cuneese che offri 4 510 lire l’anno. Ma dopo pochi anni l’operazione venne sospesa, causa un nuovo concorrente che aveva spiazzato i venditori col carretto: stavano arrivando sul mercato i primi frigoriferi.