Quando il dolore rende forti

Piermario Morosini, giocatore del Livorno, muore a 25 anni su un campo di calcio. La sua vita non era certo stata semplice, ma l'umiltà gli ha fatto raggiungere traguardi importanti
Piermario Morosini

Non si può nascondere la verità: il dolore, la morte rendono più forti. La morte sul campo di calcio, per arresto cardiaco, di Piermario Morosini, un giovane calciatore del Livorno, di soli 25 anni, ha mostrato quanto il mondo del calcio, spesso e giustamente criticato per i suoi eccessi e le sue contraddizioni, sappia essere forte. Non lo aveva dimostrato, in queste settimane, minimizzando, se non nascondendo, tra spudorate smentite e malcelata vergogna, partite truccate e scommesse. Lo ha dimostrato in questo weekend: fermando ogni attività per concedere, e concedersi, un salutare silenzio ha mostrato di essere ancora capace di grande rispetto.
 
Grazie a questo deferente silenzio, può risuonare cristallina la forza di un giovane che dal dolore è stato provato e forgiato. Aveva perso entrambi i genitori quando era ancora un ragazzo, era cresciuto con una sorella e un fratello, più grandi di lui, affetti da gravi disabilità. Quel fratello, quando Piermario aveva lasciato Bergamo per andare a giocare a Udine, s’era suicidato. Piermario giocava per loro: «Sono cose che ti segnano e che ti cambiano la vita, ma che, allo stesso tempo, ti aiutano a dare sempre tutto per realizzare quello che era un sogno anche dei miei genitori: diventare un buon calciatore», aveva dichiarato in una delle rare occasioni in cui lui, schivo e riservato, aveva accettato di parlare della sua storia. Nel ricordo dei compagni di gioco, degli allenatori e dei dirigenti ricorre in tutti una sola cosa: velava la sua tristezza con un sorriso spontaneo e un’incredibile serenità.
 
Fra i tanti commenti non passa inosservato quello di Balotelli: «Questa storia mi fa riflettere su tante cose della mia vita. Mi insegna ad apprezzare la vita, a rispettarla, a viverla con cautela e dignità». Chissà che non sia la volta buona. La carriera professionistica di Morosini, non proprio facile, sempre con la valigia in mano da una squadra all’altra, da Udine a Reggio Calabria, da Vicenza e Bologna a Livorno, impreziosita da buone prestazioni nelle nazionali giovanili di categoria in categoria, è maturata grazie al talento, al carattere, alla passione, alla forza d’animo di questo ragazzo. Lui ha sempre saputo dimostrare, prima di tutto, sotto gli occhi di tutti, il valore della vita. Glielo riconoscevano i compagni che gli hanno sempre affidato la fascia di capitano.
 
«Morire è tremendo, ma l’idea di morire senza aver vissuto è insopportabile», affermava Erich Fromm. Morosini ha vissuto, e ha vissuto in pienezza, cercando e trovando la felicità sui campi di calcio. Il dolore, che lo ha accompagnato, lo ha reso umile e forte: non solo lo ha reso capace di arrivare allo sport di alta prestazione, ma gli ha donato sensibilità, capacità di saper gustare, senza sprecarle, il sapore delle cose, della musica, di un tramonto, il valore dell’amicizia, il valore dell’affetto per Anna, la giovane pallavolista a cui era legato e con cui stava costruendo una famiglia.
 
«Sembrava sorridesse, era bellissimo», ha affermato Anna uscendo dall’obitorio dopo il riconoscimento della salma. Come bellissimo e prezioso è il messaggio che ci lascia: la vita merita di essere vissuta. Per questo Piermario non ha mai dimenticato l’oratorio di Monterosso, a Bergamo, dov’era cresciuto: lui, che il suo sogno di ragazzo l’aveva realizzato, amava tornare lì, a giocare su quel campetto, immedesimandosi con quei bambini che oggi sognano, come lui, un futuro da calciatore. «È l’amore, non la ragione, che è più forte della morte», scriveva Thomas Mann.
 
 

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