Quando il dialogo salva la democrazia

Una recente indagine di “Encuesta Latinobarometro” sul grado di fiducia nelle istituzioni da parte delle popolazioni latinoamericane, ha stabilito che al vertice sta la Chiesa cattolica (70 per cento); al punto più basso i partiti politici (19 per cento). La bassa credibilità dei partiti e dei leader politici nelle società latinoamericane rivela una vera e propria “crisi della rappresentanza”. Il rifiuto dei politici tradizionali si spiega anche col fatto che la popolazione li percepisce come responsabili della situazione attuale ancora contrassegnata da povertà e disuguaglianza. A questo si aggiunga una diffusa corruzione sia pubblica che privata. Ma nel panorama latinoamericano si possono riscontrare anche aspetti positivi, a livello politico e istituzionale, come ci spiega mons. Núñez, rettore della Pontificia Università Cattolica di Santo Domingo. “Tra gli aspetti positivi, a livello politico e istituzionale, sottolineerei la fine delle dittature militari che hanno predominato negli anni Settanta e in parte degli Ottanta; le elezioni di autorità civili attraverso processi elettorali liberi e competitivi; i processi di integrazione economica; un maggior rispetto per i diritti umani, anche se con grandi limitazioni per quanto riguarda il consolidamento dello stato di diritto; e lo sviluppo di una società civile che serve da complemento allo stato e di supporto alla democrazia. In relazione a quest’ultimo punto, c’è da far notare che la rappresentanza delle domande della società non è più patrimonio esclusivo dei partiti politici, dato che esistono altri canali attraverso i quali i differenti settori sociali esprimono i loro interessi e le loro preoccupazioni”. Uno dei fattori più importanti, che spiegano le difficoltà politiche del Continente, e che lei spesso ha sottolineato, è la mancanza di una “cultura del dialogo e della concertazione”: ma proprio a Santo Domingo lei è stato protagonista di alcune importanti azioni che hanno sviluppato questa cultura, come il “Patto di solidarietà economica”: può parlarcene? “Dalla metà degli anni Ottanta, la Chiesa cattolica ha offerto contributi molto importanti al dialogo e alla concertazione nella Repubblica Dominicana. In particolare, la Pontificia Università Cattolica “Madre e Maestra”, della quale sono rettore, è servita come spazio di incontro, dialogo e negoziati tra differenti settori della società dominicana intorno a differenti tipi di problemi. “Una crisi economica estrema, come quella degli anni 1989-’90, fu superata attraverso una concertazione tra il governo, l’imprenditoria e una parte importante del settore sindacale. Questa concertazione, denominata “Patto di solidarietà economica”, servì da base per importanti riforme tributarie, tariffarie e di altro tipo, che hanno permesso una straordinaria crescita dell’economia dominicana lungo tutti gli anni Novanta. “Devo segnalare, tuttavia, che l’agenda sociale non sempre ha accompagnato l’agenda della riforma economica, facendo sì che i benefici della crescita economica non influissero come si sperava nella riduzione della povertà e della disuguaglianza. In settori sempre più ampi della società dominicana c’è coscienza della necessità di una migliore distribuzione della ricchezza nazionale”. Un altro grave momento di crisi istituzionale avvenne nel 1994, in occasione delle elezioni: come andarono le cose? “La crisi politico-elettorale del 1994 nella Repubblica Dominicana fu il risultato di una situazione di irregolarità nelle elezioni del 16 maggio di quell’anno, che portò come conseguenza una forte polarizzazione tra il governo e la principale forza di opposizione (il Partito rivoluzionario dominicano e i suoi alleati). L’opposizione accusava il partito di governo e le autorità elettorali di avere escluso decine di migliaia di elettori dalle liste elettorali a danno, principalmente, dei propri sostenitori. Il governo, per contro, rigettò le accuse. Si determinò una situazione di crisi politica che mise in gioco la stabilità e la governabilità, perché nessuna delle parti coinvolte nel conflitto intendeva, all’inizio, cedere di fronte all’altra. L’Organizzazione degli stati americani ebbe una presenza significativa tanto nella fase di osservazione elettorale come in quella successiva”. Come fu risolta la crisi, e quale ruolo vi ebbero lei e la chiesa? “Prima delle elezioni presso l’Università Cattolica si firmò un “Patto di civiltà” tra tutti i candidati alla presidenza, con la firma, come testimoni, di distinte personalità della vita nazionale, tra le quali c’ero anch’io. Il Patto di civiltà, tra le altre cose, stabiliva l’impegno che nessuno dei candidati si sarebbe dichiarato vincitore finché le autorità elettorali non avessero emesso il loro verdetto. Questo patto servì come punto di riferimento per cominciare un processo di dialogo e negoziazione nel contesto della crisi dopo le elezioni. Per quanto riguarda me, mi fu chiesto di fare da mediatore tra le diverse forze politiche, specialmente tra il presidente di allora, Joaquin Balaguer e il principale candidato dell’opposizione, José Francisco Peña Gòmez. Potei costatare in loro un atteggiamento di impegno verso la stabilità e governabilità della democrazia, che rese possibile la negoziazione che culminò con la firma del “Patto per la democrazia”. Voglio anche sottolineare il ruolo giocato dal partito della liberazione dominicana (Pld), fondato dall’ex presidente Juan Bosch, così come quello degli altri partiti e dei leaders della società civile. “Il Patto condusse a una riforma costituzionale che ridusse il mandato presidenziale a due anni (il presidente Balaguer era candidato alla rielezione), proibì la rielezione immediata, separò le elezioni presidenziali da quelle politiche e amministrative, creò il sistema del doppio turno elettorale e riformò il potere giudiziario per renderlo più indipendente da quello politico. Si decise anche di creare una nuova “Giunta centrale elettorale” composta da professionisti indipendenti che contavano sul consenso di tutti i partiti. Queste riforme costituzionali sono servite da base per tre elezioni successive. In nessuna ci sono stati reclami per frodi. Sono dell’opinione che se non si fosse arrivati al Patto per la democrazia attraverso i negoziati, la democrazia dominicana sarebbe stata in pericolo “. Mons. Núñez, perché la cultura del dialogo favorisce lo sviluppo dei paesi latinoamericani? “In America Latina ha predominato lo scontro tra le forze politiche e tra le forze sociali. Tuttavia, si ha sempre più coscienza che la concertazione è un cammino migliore per la governabilità politica e per realizzare le riforme economiche e sociali delle quali i nostri paesi hanno bisogno. Nei casi in cui ci sono state profonde riforme economiche senza concertazione, per esempio, si sono prodotti conflitti sociali acuti che hanno finito per distruggere i governi. Al contrario, quando le riforme si sono realizzate attraverso la concertazione, si è potuto contare su una migliore base di appoggio, come dimostra proprio il caso della Repubblica Dominicana. Se pure si è andati avanti, tanto nel nostro paese quanto nel resto dell’America Latina, nel comprendere il valore della concertazione, c’è ancora una lunga strada da percorrere perché i differenti settori giungano a comprendere l’importanza di concertare, per affrontare i gravi problemi sociali che affliggono le nostre nazioni e che si rispecchiano nella povertà e nella marginalità”. Quale contributo i cristiani possono dare alla vita democratica delle nazioni latinoamericane? “Credo che i cristiani abbiano la responsabilità di partecipare, e di contribuire con le proprie capacità: nell’educazione, nella politica, nella pastorale sociale, nei mezzi di comunicazione, nelle organizzazioni sociali, ecc. Noi cristiani abbiamo la responsabilità di immettere, nei nostri ambiti di influenza, una sensibilità etica nell’impegno politico e sociale, così come una sensibilità verso il bene comune. Non possiamo cadere nell’apatia, nell’indifferenza e nella demoralizzazione davanti ai gravi problemi che colpiscono milioni di nostri fratelli e sorelle latinoamericani”.

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