Quando Dio chiama…

L'incontro con Chiara e i primi focolarini di un giovane missionario italiano che nel 1952 studia a Roma. La riscoperta del Vangelo, l'inizio dei religiosi nel Movimento dei Focolari, i frutti nella Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata.
Santino Bisignano
Non credo che la storia di una persona e gli avvenimenti della sua vita possano dissociarsi dalla vita della Chiesa e della società. Quando Dio chiama – e la creazione di ciascuno è una chiamata – è per una missione insita nella sua stessa identità, che viene scoperta e realizzata in comunione con Dio e nel cammino della storia umana, la casa del Verbo e la propria casa.

 

La chiamata rende partecipi, da figli, della missione salvifica che il Padre ha affidato al Figlio unigenito e della Signoria d’amore di questi che conduce ai cieli nuovi e alle terre nuove, dove tutti si è una cosa sola come le Tre divine Persone.

 

In questa prospettiva la vita di ogni persona acquista pienezza e sviluppa, pur nella sua fragilità, una fecondità che porta i tratti dell’agape divina diffusa nei cuori, quale forza di trasformazione personale, dei gruppi umani, dei popoli, del creato. E diviene, in Cristo Gesù, insieme ai fratelli e alle sorelle di fede, operatrice attiva di pace e di giustizia nella logica delle beatitudini, la cui icona vivente è il mistero di Cristo Crocifisso.

 

Vivono la Parola!

 

È in questo modo che oggi mi spiego il cammino da quando, ancora nel lontano 1952, venni a contatto con l’Opera di Maria, o meglio, con alcuni dei primi focolarini che con Chiara esprimevano nella Chiesa il carisma dell’unità. Incontri semplici e coinvolgenti, che parlavano al cuore di un giovane oblato che portava in sé l’esperienza dell’Azione Cattolica, quale incaricato diocesano dei giovani.

 

“Sai, che vivono la parola di Dio come una parola di vita?”. Questa nota di un confratello richiamò l’amore alla Bibbia che avevo appreso negli anni precedenti. Andai del superiore e gli chiesi se potevamo, tra i gruppi liberi della comunità, crearne anche uno sulla Parola di Dio, per cercare di aiutarci a metterla in pratica. È stata una scuola di fraternità tra noi, che dura ancora, e di crescente amore al fondatore, per il quale la Parola di Dio era il nutrimento quotidiano.

 

La chiamata di Dio

 

Quando i superiori mi mandarono allo scolasticato internazionale di Roma per gli studi alla Gregoriana, ebbi la possibilità di incontrarmi regolarmente con i primi focolarini che frequentavano l’università in teologia.

 

Fin dagli inizi, certamente per una grazia, andava maturando una certezza interiore, illuminata dalla storia della vita religiosa: in quel gruppo vi era l’operare carismatico di Dio per la Chiesa, quale aiuto per affrontare, con la forza del Vangelo e dell’unità, la nuova epoca di cui si parlava o di cui si coglievano, specie in ambienti internazionali, i segni.

 

Mi ritornavano alla mente le parole di Gamaliele al Sinedrio (cf. At 5, 39) ogni volta che vedevo incomprensioni, ostacoli, rifiuti, paure, dubbi, difese. Ed ero confermato dalla fiducia dei superiori. Ciò che sentivo nel profondo del cuore era una sola cosa: ora il Signore chiamava un oblato, come molti altri religiosi, a costruire l’ut omnes, partecipando del nuovo carisma. Non si trattava di imitare una realtà viva ed evangelica per superare le contestazioni e le crisi: si trattava di una chiamata.

 

Nessuna divisione interiore, pertanto, o sforzi per “conciliare” in se stessi due realtà carismatiche – il carisma del fondatore e il carisma dell’unità –, ma una ancor maggiore chiarezza delle propria identità di religioso e dello scopo della missione, da realizzare, con i tratti del carisma del fondatore, nell’unità, sentendosi Chiesa. Quale esigenza profonda, l’impegno a crescere nella conoscenza del carisma del fondatore e della storia dell’Istituto per costruire comunione offrendo il proprio dono.

 

I religiosi con Chiara

 

La Chiesa e l’ut omnes: perché tutti credano! Questo emergeva quotidianamente dagli incontri tra noi religiosi e con Chiara. Senza pretese, in continua ricerca della volontà diDio per compiere solo il suo disegno. È impossibile descrivere e narrare un cammino frutto di un dono, ma anche abitato dalle esuberanze giovanili, da sogni e da povertà, dalle fatiche della ricerca e dai silenzi, dalle prove e dallo stupore di fronte all’operare del Risorto tra noi.

 

Eravamo coinvolti e ghermiti nello stesso tempo in cui le responsabilità impegnavano nello studio, nel confronto, nel dialogo in comunione con i superiori. Maturavamo come uomini, come religiosi, come membri della Chiesa. Cresceva in noi sempre di più la passione per la Chiesa, servire la Chiesa il nostro programma, la cura dei fratelli e della loro formazione il percorso quotidiano che Gesù in mezzo tracciava.

 

Nei primi anni non ho avuto nessun incontro personale con Chiara, che tuttavia ci rendeva partecipi di ciò che il Signore operava, trasmettendo, con la sapienza che viene dall’alto, l’esperienza dello Spirito – il carisma – che il Signore aveva comunicato a lei e alle sue prime compagne “in montagna”.

 

Il Bondone

 

Oggi sento quegli anni come una preparazione ad un incontro che ha determinato una svolta interiore nella mia vita. Era l’agosto del 1967. Chiara aveva invitato un gruppo di religiosi di diversi Istituti, che da alcuni anni avevano incontrato l’Ideale, come si diceva allora. Ci riunimmo in montagna, al Bondone nel Trentino. Fu l’immersione nella grazia fondante: non idee, ma vita, luce e fuoco.

 

I due incaricati da Chiara per il nostro incontro mi chiesero, il giorno dopo il mio arrivo, la mia esperienza: mi ero sentito raggiunto dallo sguardo di Chiara nel profondo del cuore. Non so nemmeno oggi quale significato avesse; so soltanto che mi sentivo a casa, nella pace e nella gioia. Ci sentivamo tutti avvolti dalla presenza del Risorto tra noi, dalla presenza di Maria. Non era per noi, ma per la Chiesa e l’umanità.

 

Con un confratello ci ritirammo, spinti da una forza interiore, in un luogo appartato nel silenzio della natura: “Uniti nel tuo nome, ti chiediamo, Signore, che nasca per noi Oblati, se è tua volontà, una comunità che goda della tua presenza per l’amore reciproco tra tutti, così come qui abbiamo sperimentato, e in essa sia Maria”.

 

E nacque “Marino”

 

Al Bondone nacque così “Marino”, cioè la comunità giovanile, aperta proprio il mese dopo, nel settembre del ‘67, e che divenne nel 1969 noviziato. Per noi fu un grande dono, confermato dalla Provvidenza che fornì la casa e benedetto dai superiori.

 

Il nostro impegno non fu tanto in campo educativo, ma soprattutto nel vivere, uniti all’Opera e ai superiori, i nostri rapporti nel-l’amore reciproco avendo nel cuore l’ansia dell’ut omnes, attenti a ciò che il Signore chiedeva giorno dopo giorno. Vennero non pochi sviluppi, di cui in fondo si rimaneva “spettatori” grati, perché erano ben al di là dei sogni, delle attese, dei nostri programmi.

 

Chiesi a Chiara come portare avanti la vita della comunità. Mi rispose: “Vivete solo Gesù Abbandonato e Maria Desolata. Non preoccupatevi d’altro, e vedrete!”.

 

Ci seguiva, perché se per noi era un’avventura, e per i superiori un “rischio”, per lei era una conferma di ciò che il carisma dell’unità operava nella vita religiosa. La sua attenzione per i fondatori era gelosia verso opere di Dio da custodire nella loro piena genuinità. Dalla vita emergeva come tutto, nel dinamismo delle relazioni, portava i tratti delle relazioni trinitarie: unità e diversità, volto e volti, pienezze e pienezza. Tutto frutto del mistero pasquale vissuto in carni vive, da ciascuno, da ogni comunità, dal Corpo di Cristo, sale e luce della terra.

 

Chiara “oblata”

 

Quando ero a Vermicino, al nostro scolasticato della Provincia italiana, avevamo stampato un libretto sulla comunità oblata con i pensieri del fondatore, Eugenio de Mazenod. Faceva parte dei lavori degli scolastici e di Fabio Ciardi.

 

Chiara, venutane a conoscenza, ne chiese duecento copie per mandarle nei focolari per la meditazione. Volli chiederle il perché: “Se loro, per via del carisma dell’unità, si sentono dell’Opera di Maria, io per via del loro fondatore mi sento ‘Oblata di Maria Immacolata’”. E subito aggiunse: “Ma io mi sento di tutti gli Ordini: di san Francesco, di san Benedetto…”.

 

Ritorna alla mente una sfida, lanciata da Giovanni Paolo II alle persone consacrate: “Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, avere una grande storia da costruire. Guardate al futuro nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi” (Vita consecrata, 110).

 

Il Soggetto è e resterà la Chiesa, la Sposa unita allo Sposo, il Cristo Capo con il suo Corpo. Ogni particolare, perché membro del suo Corpo, ne possiede il respiro, lo stile, il dinamismo dell’operare: la kenosi d’amore perché tutti siano uno e il mondo diventi famiglia di Dio (cf. Gv 17, 21; GS 40).

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons