Quando B non significa retrocessione

Sono più di mille e cento in 35 Paesi le imprese che aderiscono al sistema B. Imprenditori che inseriscono negli statuti aziendali una motivazione che risponde a un problema sociale o ambientale. Le origini di questa iniziativa
Britec Cile

Nel 2000 la Corte Suprema degli Stati Uniti obbligò la conosciuta marca di successo di gelati, Ben & Jerry’s, ad accettare l’offerta di acquisto dell’azienda per 326 milioni di dollari. I proprietari già avevano rifiutato varie offerte, anche quando il prezzo lievitava, perché non veniva loro assicurato che l’acquirente avrebbe condiviso i valori che i proprietari avevano applicato nella gestione dell’impresa: condividere una parte degli utili con i lavoratori, uso di prodotti organici, criteri di commercio giusto con i fornitori, soprattutto del latte, responsabilità sociale nei confronti della comunità territoriale, basso livello di inquinamento.

Ben & Jerry’s nacque negli anni ‘70 dal sogno di due hippy che, sensibili al prezzo iniquo che ricevevano i produttori di latte, decisero di produrre gelati applicando criteri di commercio equo nell’acquisto dei prodotti necessari alla fabbricazione di gelati.

 I giudici, in applicazione della norma che stabilisce che l’unico scopo di una impresa é quello di ottimizzare gli utili per gli azionisti, ritennero non dimostrato che l’azienda era in grado di produrre maggiori utilità rispetto all’offerta di acquisto, motivo per il quale l’impresa fu obbligata ad accettare l’offerta. Uno dei giudici motivò il suo voto con l’argomento che la pretesa di Ben & Jerry’s di introdurre nello scopo imprenditoriale una motivazione diversa dall’ottimizzazione degli utili, rappresentava un pericolo per il mercato.

L’esperienza del 2000 ha offerto un ulteriore impulso alla nascita ed alla diffusione del sistema di imprese B: imprenditori che mettono in moto una attività di produzione o di servizi sulla base di una motivazione che non è esclusivamente quella degli utili, ma in risposta a un problema sociale o ambientale. Per evitare che un eventuale successore possa un giorno modificare le motivazioni principali dell’impresa, queste devono figurare negli statuti.

La loro diffusione è in crescita ovunque. Nel 2011 erano 450, oggi sono più di 1.100 in 35 Paesi. Un centinaio in Sudamerica, sparse tra Argentina, Brasile, Perù, Ecuador, Colombia, Uruguay e Cile, dove me ne parla Javier Ferrada, dirigente della cilena Britec, una fabbrica di collettori solari sorta con l’idea di dare lavoro ai detenuti. Infatti la mano d’opera proviene da una delle carceri della regione metropolitana di Santiago. «In genere il lavoro dei detenuti non ha un grande livello formativo, spesso producono prodotti artigianali abbastanza semplici. Dopo dieci o quindici anni fuori dal mercato del lavoro, qual è il tuo livello di formazione? La nostra idea è proprio quella di far loro apprendere qualcosa che poi potrà permettere loro di reinserirsi». Ci riuscite? «Siamo agli inizi. I nostri detenuti scontano condanne di almeno 10-15 anni di carcere. Finora su quattro che sono usciti, uno è tornato a delinquere e gli altri tre si sono reinseriti»”.

Per far parte del sistema B, l’impresa deve applicare un minimo dei circa 200 requisiti richiesti per poi certificare l’appartenenza al gruppo. «Non è una cosa che fai una volta per tutte. Ogni due anni devi rinnovare la certificazione e dimostrare che sei andato avanti, è un processo permanente», aggiunge Ferrada.

Varie altre aziende privilegiano una motivazione ambientale, altre volte prevale la finalità sociale. Dunque, niente lucro? «Il lucro fa parte dell’attività imprenditoriale. Per noi è però importante stabilire come e quando. In genere, le imprese cominciano a sentirsi socialmente responsabili una volta che le cose cominciano ad andare bene. Magari migliorano gli stipendi o, perché no? decidono di condividere una parte degli utili, oppure decidono di inquinare meno… Noi scegliamo di applicare tutte queste cose ma inserendole nel bilancio della nostra attività senza aspettare questa seconda fase. Una cosa tira l’altra: perché poi cerchi di applicare in tutti gli aspetti l’etica che è alla base delle nostre scelte. Ad esempio, una parte dei componenti che usiamo abbiamo verificato che fossero prodotti con criteri poco inquinanti».  

«Stiamo scoprendo – dice con entusiasmo Ferrada – che esistono imprenditori giovani con sogni nel cassetto e desiderosi di dimostrare la loro creatività. Alcune centinaia si stanno preparando per la certificazione». Insomma, c’è gente che ha voglia di dimostrare che gli utili non sono l’unico motivo per il quale far nascere una impresa. Imprese buone per il mondo, è il loro motto.

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