Quando ammazzarono Nino e Ida

Il 5 agosto di 24 anni fa venivano uccisi, vicino Palermo, il poliziotto Nino Agostino e la moglie, incinta di 5 mesi. Dopo tanti anni ancora non hanno un volto i mandanti e gli assassini di questa giovane coppia che forse sapeva troppo
Nino Agostino e Ida Castelluccio

5 agosto del 1989. L’agente di polizia Nino Agostino e sua moglie Ida Castelluccio – incinta di cinque mesi – vengono uccisi a Villagrazia di Carini, vicino Palermo. I due sposini, che si erano sposati appena un mese prima, stavano andando nella villetta degli Agostino per festeggiare il compleanno della sorella di Nino. Furono uccisi sotto gli occhi dei genitori, Vincenzo e Augusta.

Già raccontata cosi sarebbe una tragica e dolorosa storia di persone per bene fatte fuori da una mafia violenta e tracotante. La cosa però che scava nel cuore dei genitori di Nino è che sono trascorsi ben 24 anni da quel pomeriggio, ed esecutori e mandanti sono ancora senza nome e senza volto. Nessuno ha pagato per l’omicidio di quella giovane coppia di sposi e della loro futura bambina.

La storia di Nino e di Ida, seppur meno nota di altre, è una storia fitta di segreti di Stato, di intrecci e collusioni tra istituzioni, servizi segreti e mafia.

Augusta e Vincenzo hanno partecipato insieme con me lo scorso mese di luglio alla manifestazione “Big Bang” organizzata dai ragazzi per l’unità di Sicilia, Calabria e Malta a Vibo Valentia. «Da ventiquattro anni cerchiamo verità – disse in quella occasione Augusta – e cerchiamo risposte perché ogni giorno, da allora, continuano ad essere uccisi nel silenzio di chi – all’interno delle istituzioni – sa e non parla, per chissà quale ragione». Ma perché sono stati uccisi Nino e Ida? E perché non si riesce, a ventiquattro anni di distanza, a trovare nessun pentito che racconti qualcosa su questa vicenda?

Ci sono ipotesi, ma senza conclusioni, intercettazioni, nomi e dettagli, ma non sufficienti a provare nulla. Nel portafogli Nino conservava un biglietto con su scritto «se mi succede qualcosa, guardate nel mio armadietto». Cosa temeva Nino? E cosa fu trovato nell’armadietto di Nino perquisito subito dopo? A complicare le cose in quel periodo (nel 1990) vi fu l’omicidio di Emanuele Piazza, giovane in servizio presso il SISDE (Servizi per le informazioni e la sicurezza democratica, sostituito nel 2007 dall’A.i.s.i. Agenzia informazioni e sicurezza interna) e che lavorava alla ricerca dei latitanti. Piazza, il 16 marzo del 1990 scomparve dalla sua abitazione. Fu chiamato dal pentito Francesco Onorato, ex pugile e suo compagno di palestra, portato in uno scantinato, strangolato e poi sciolto nell’acido.

Qualcosa il pentito Oreste Pagano racconta a proposito di questa vicenda ricordando il suo incontro con il mafioso canadese Alfonso Caruana. «Ero al matrimonio di Nicola Rizzuto, in Canada. C’era un rappresentante dei clan palermitani, Gaetano Scotto. Alfonso Caruana mi disse che aveva ucciso un poliziotto perché aveva scoperto i collegamenti tra le cosche e alcuni componenti della questura. Anche la moglie sapeva e per questo morì».

I servizi segreti italiani hanno sempre negato che Agostino avesse svolto servizio presso il SISMI (Servizi per le informazioni e la sicurezza militare). La recente riapertura delle indagini, invece, è stata provocata dal ritrovamento di nuovi documenti nell’archivio della Squadra Mobile, che attesterebbero l’attività di antimafia del poliziotto e proprio tra le fila dei servizi segreti!

E dopo ventiquattro anni si continuano a lasciare due genitori senza verità e giustizia. Papà Vincenzo, da quel 5 agosto del 1989, non ha più voluto tagliare barba e capelli. Lo farà, dice, quando finalmente saprà chi ha ucciso suo figlio, sua nuora e la bambina nel suo grembo, e perché li hanno uccisi.

«Dopo 24 anni ancora nessuna verità è stata accertata sul delitto dell’agente di polizia Antonino Agostino. Un’attesa snervante e vana per una famiglia dilaniata dal dolore. Adesso basta: tutti noi familiari delle vittime innocenti siamo stanchi di elemosinare il nostro diritto alla verità e alla giustizia. Ne hanno diritto Enzo ed Augusta, genitori di un vero servitore dello Stato, e ne ha diritto questo Paese che vede, ancora una volta, il vergognoso sigillo del segreto di Stato su una vicenda intorno alla quale gravitano evidentemente spregevoli interessi».

Lo ha detto Sonia Alfano, anche lei familiare di una vittima della mafia [1], presidente della Commissione CRIM (Criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio di denaro) del Parlamento Europeo e presidente dell’Associazione nazionale familiari vittime di mafia, ricordando oggi l’omicidio dell’agente Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio.

Dalle colonne di questo giornale abbiamo più volte ribadito che una vera democrazia, un Paese davvero civile, non deve mai avere paura della verità. Potrà essere dolorosa, potrà forse evidenziare traditori e infedeltà. Meglio una democrazia dolorante e forse sfregiata che un Paese che non ama la verità e quindi il bene comune.



[1]
Il padre era Beppe Alfano, giornalista, ucciso dalla mafia l’8 gennaio 1993 a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina).

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