Quali unioni benedire?
Il 15 marzo 2021, la Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede ha pubblicato un documento circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso, per rispondere ad un quesito che le era stato posto. Alla domanda “La Chiesa dispone del potere di impartire la benedizione a unioni di persone dello stesso sesso?”, il documento risponde con un “No”. Nei giornali e sui social media sono seguite polemiche e prese di posizione su questa risposta.
Città Nuova segue con attenzione il dibattito in corso all’interno della Chiesa e nella società, sia con articoli, nella rivista e sul sito, che con libri (vedi per esempio: Chiara D’Urbano – Percorsi vocazionali e omosessualità – 2020).
Su questo argomento, riceviamo e pubblichiamo la riflessione di padre Pino Piva, gesuita, esperto di percorsi di accompagnamento pastorale con le persone omosessuali.
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Niente di nuovo? In effetti, nel Responsum viene ribadito quanto già ripetuto spesso circa l’argomento. Ma troviamo anche qualcosa di insolito. Fin dai tempi di San Giovanni Paolo II, i “Responsa” della CDF si concludono con questa formula: “Il Sommo Pontefice […], nel corso dell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Risposta, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione”.
Insolita invece è la conclusione del presente “Responsum”: “Il Sommo Pontefice Francesco, nel corso di un’Udienza concessa al sottoscritto Segretario di questa Congregazione, è stato informato e ha dato il suo assenso alla pubblicazione del suddetto Responsum ad dubium”. Quindi, formalmente Papa Francesco non “approva” il Responsum, ma ne viene solo informato; non dal Prefetto, ma dal Segretario; non “ordina” la pubblicazione, ma ne dà solo l’assenso. Questa formula insolita è un unicum. Solo formalità? Non credo; piuttosto dobbiamo ammettere che Papa Francesco – e il Cardinale Prefetto – intendono dare il minimo grado di autorità a questo documento della CDF. Perché?
Quanto peserà nel cammino della Chiesa questo documento? Faccio un esempio. Prendiamo un altro documento della CDF, molto più autorevole, approvato da San Giovanni Paolo II – che ne ha ordinato la pubblicazione – e firmato dal Cardinale Prefetto Ratzinger: “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” del 2003. Un documento – come il Responsum – che non vuole dare indicazioni dottrinali ma solo giuridico/pastorali. Il cuore di queste Considerazioni recita: “In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matrimonio […] è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione […]. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all’obiezione di coscienza”.
Dobbiamo dire che qualcuno ha esercitato il suo diritto all’obiezione di coscienza, ma non tanto alla promulgazione di simili leggi civili, quanto al documento vaticano stesso (anche se non esplicitamente). Questo ha fatto Papa Francesco in una intervista ad una TV Messicana nel maggio 2019. Non riporto le parole (verba volant), ma preferisco citare la comunicazione della Segreteria di Stato resa nota da Mons. Franco Coppola, nunzio apostolico in Messico, il 30 Ottobre 2020 (Para Entender Algunas expresiones del Papa en el documental “Francisco”) e destinata a tutti i nunzi del mondo.
La comunicazione recita: nel documentario “Papa Francesco ha affermato che «è un’incongruenza parlare di matrimonio», aggiungendo che, in quello stesso contesto, aveva parlato del diritto di queste persone ad avere una qualche copertura legale: «Ciò che dobbiamo fare è una legge di convivenza civile; hanno diritto di essere coperti legalmente. Questo è ciò che sostenni»”.
Quindi, l’obiezione di papa Francesco al documento della CDF è limitata a quanto affermato circa il non-riconoscimento legale delle unioni omosessuali, non a quanto detto circa la equiparazione delle medesime al matrimonio; tuttavia capiamo bene che il documento del 2003 ha perso così buona parte della sua autorevolezza e oggi andrebbe riscritto totalmente. Tra l’altro, il n. 4 di questo documento è citato nel Responsum attuale, o meglio nell’articolo esplicativo, ma solo per ricordare che gli omosessuali “devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione” e nulla più.
Con tutto questo che voglio dire? Se un documento autorevole della CDF come quello del 2003 viene superato significativamente nel giro di 16 anni da una affermazione contraria del Papa, a maggior ragione siamo costretti ad ammettere che il presente Responsum della CDF avrà vita breve, brevissima. Certamente, quindi, non è intenzione della CDF dire con esso l’ultima e definitiva parola sulla pastorale con persone omosessuali e sulla benedizione delle loro unioni, e tantomeno questa è l’intenzione di Papa Francesco. La Riflessione continua.
Certo sorprende l’enorme reazione di dissenso di molte persone, sacerdoti e vescovi in varie parti del mondo a questo Responsum. Non può essere solo motivata dal documento – in sé di poco valore – o dal suo contenuto (che ribadisce quanto da tempo affermato dalla Chiesa). E allora? Probabilmente la reazione riguarda l’incongruenza tra la “retorica” (in senso positivo) della accoglienza, integrazione, non-discriminazione affermata a livello ideale da parte della Chiesa; e l’immobilità dottrinale che non riesce ancora a liberarsi di categorie teologicamente rassicuranti, ma evangelicamente e pastoralmente devastanti (cfr. “inclinazione oggettivamente disordinata”); nonostante l’enorme contributo delle scienze umane al riguardo, e di tante teologhe e teologi che da tempo offrono alla Chiesa la loro riflessione profonda e illuminata per scoprire una sintassi dell’amore anche negli affetti omosessuali.
In effetti il Responsum cerca di mitigare questa discrepanza, arrivando addirittura a citare il n. 150 del Documento finale del Sinodo dei giovani (2018). Questo è il testo più significativo dell’episcopato universale sulla pastorale con persone (giovani) omosessuali che, pur avendo avuto ben più dei due terzi dei voti dell’assemblea sinodale, non se ne è vista traccia nell’Esortazione post-sinodale “Christus vivit”. Incongruenza.
Ugualmente, nel Responsum viene più e più volte citata “Amoris Laetitia”; ma viene dimenticato il n. 305 che, per quelle che il Responsum definirebbe “relazioni, o partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio”, afferma: “a causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”. E sappiamo bene che a questo punto la nota 351 aggiunge: “In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti”. Ecco, in questi certi casi, il Responsum della CDF rinunciando all’esercizio di un opportuno discernimento, verrebbe a negare il “sacramentale” della benedizione, dove Amoris Laetizia concederebbe addirittura l’aiuto dei Sacramenti. Incongruenza.
Qui forse la risposta ad una mia prima domanda: perché papa Francesco – e il Cardinale Prefetto – intendono dare il minimo grado di autorità a questo documento della CDF? Appunto, perché con questo Responsum – forse necessario a rassicurare qualche debole coscienza in questo cambio d’epoca – viene riproposta l’incongruenza nella Chiesa tra una sincera volontà di comunicare la Gioia del Vangelo, e una legge che uccide la speranza. Ma a quanto pare, le forti reazioni contrarie a questo documento in molte parti della Chiesa, ne accelereranno l’intenzionale irrilevanza.