Quale scuola per gli studenti italiani?
Meglio pubblica o privata? Se ne dibatte in Italia dopo le critiche del premier Berlusconi agli insegnanti statali
Meglio la scuola pubblica o quella privata? In Italia se ne discute da anni, ma l’argomento è tornato di stringente attualità dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Intervenuto il 26 febbraio al congresso dei Cristiano riformisti, ad un certo punto, riprendendo una tesi già esposta al momento del suo ingresso in politica, nel 1994, ha affermato: «Libertà vuol dire avere la possibilità di educare i propri figli liberamente, e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato, dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare principi che sono il contrario di quelli dei genitori». Apriti cielo.
In poche ore sono divampate le polemiche, con le forze di opposizione che sottolineavano la presunta gaffe e la sua stessa maggioranza che cercava di rimediare, con il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, pronta ad assicurare che «la scuola, statale o paritaria, ha una funzione pubblica». Lo stesso premier, domenica scorsa, è tornato sui suoi passi spiegando di essere stato frainteso. Il suo intento, ha spiegato Berlusconi, non era di criticare la scuola statale, ma «l’influenza deleteria» che in questi istituti «hanno avuto e hanno ancora alcune culture politiche e ideologie». Un piccolo passo indietro che non è bastato a fermare le proteste. Su Internet, le raccolte di firme a favore della scuola pubblica si sono moltiplicate. Su l’Unità, ad esempio, sono quasi centomila i firmatari di un appello che vede tra i propri testimonial anche personaggi dello spettacolo, come Jovanotti.
Nel suo intervento, il cantante spiega, tra l’altro: «Nostra figlia è arrivata all’età della scuola e io e mia moglie abbiamo deciso: scuola pubblica. Potevamo permetterci di scegliere e abbiamo scelto. Abbiamo pensato che fosse giusto così. È nostra figlia ed è la persona a cui teniamo di più al mondo ma è anche una bimba italiana e l’Italia ha una scuola pubblica. Sapevamo di inserirla in una realtà problematica ma era proprio quello il motivo della scelta. Un luogo pubblico, che fosse di sua proprietà in quanto giovane cittadina, che non fosse gestito come un’azienda e che non basasse i suoi principi su una dottrina religiosa per quanto ogni religione venisse accolta. Un luogo pubblico, di tutti e per tutti, scenario di conquiste e di errori, di piccole miserie e di grandi orizzonti, teatro di diversi saperi e di diverse ignoranze», dalle quali, aggiunge, si può comunque imparare.
Sulla vicenda è intervenuto anche il cardinale Angelo Bagnasco. «La Chiesa – ha affermato il presidente della Conferenza episcopale italiana – come sempre, ha molta stima e fiducia nella scuola, perché è un luogo privilegiato dell’educazione, tanto più che siamo nell’ambito del decennio sulla sfida educativa, che la Cei ha scelto. Quindi ci sta a cuore l’educazione integrale anche attraverso la scuola e in qualunque sede, statale o non statale; l’importante è che ci sia questa istruzione, ma anche questa formazione della persona, che è scopo della scuola a tutti i livelli».
Ma anche degli insegnanti hanno reagito, siano essi del settore pubblico o di quello privato. Ci scrive ad esempio Cristiana Radivo, professoressa a Trieste: «Vorrei riflettere sulle ultime affermazioni del presidente del Consiglio in merito alla scuola pubblica. Certo che la scuola oggi non educa: è in competizione con i modelli proposti dai mass media e da gran parte degli adulti con un ruolo pubblico del nostro paese. Gli insegnanti propongono agli studenti di faticare sui libri, di impegnarsi, di sviluppare il proprio spirito critico, di costruire il proprio futuro, di essere rispettosi, onesti, sinceri, leali. I valori proposti da chi riveste ruoli di responsabilità politica ai ragazzi e alle ragazze invece sono: la negazione della verità, l’aggressività, il guadagno facile, la ricchezza che compra tutto, il disimpegno, la non responsabilità, l’incapacità di riconoscere i propri errori, il disprezzo per i deboli, stranieri o nomadi o disabili».
Sulla stessa lunghezza d’onda gli esponenti dell’associazione italiana maestri cattolici di Asti: «Noi – scrivono – ci sentiamo indignati, offesi, ma ancor più preoccupati e lanciamo un grido a tutti coloro che hanno a cuore il futuro del paese: “salviamo la scuola, non importa se statale o privata, che sia garanzia di levatura intellettuale e morale per il paese”. Facciamo nostra l’esortazione del cardinal Martini in Conversazioni notturne a Gerusalemme: “I giovani sono più avanti di noi nel senso della giustizia… Consegniamo loro un mondo che non sia rovinato”».
Il dibattito è aperto. Ci sembra che la questione non sia nuova, ma meriti un approfondimento serio e svincolato da tatticismi e controtatticismi del momento. Ci sta troppo a cuore l’educazione dei nostri figli per vederla ridotta a una semplice lotta partitica.