Quale nonviolenza è possibile in Ucraina?
“Maledetti pacifisti!”. Coglie nel segno il piccolo instant book scritto in questi giorni dall’inviato del Tg3 a Mosca Nico Piro nel descrivere quello che chiama il prevalere del “pensiero unico bellicista” non solo nell’autocrazia russa, che perseguita chi obietta alla verità ufficiale che chiama “operazione speciale” la guerra di aggressione all’Ucraina che si fa di giorno in giorno sempre più violenta.
Anche nei Paesi occidentali si assiste, a partire dai media principali, ad una forte pressione per la giustificazione di uno stato di guerra permanente che non fa intravedere vie di uscita possibili. Il vertice Nato di fine giugno a Madrid ha certificato lo stato di allerta con la mobilitazione di 300 mila unità di pronta reazione e il varo di una forte politica di riarmo che parte dalla massiccia fornitura di armi al governo ucraino di Zelensky assicurata dagli Usa e dai suoi alleati nonché dai vertici della Ue. Solo chi non vuole vedere non comprende il pericolo di un’escalation bellica che può arrivare fino al conflitto nucleare, punto di non ritorno dell’umanità intera.
Davanti a tale scenario sorge la domanda: cosa può fare chi si oppone alla guerra, oltre a soccorrere le vittime? Come è noto neanche la vasta galassia pacifista che portò in piazza milioni di persone nel 2003 riuscì a fermare la guerra di Bush e Blair contro l’Iraq, con tutti i catastrofici effetti a catena che ne sono derivati in questi anni. E la terra intera è attraversata da quello che papa Francesco ha definito fin dall’inizio del suo pontificato una guerra mondiale a pezzi che ora si stanno saldando tra di loro.
L’aumento costante delle spese militari fino ai 2.100 miliardi di dollari raggiunti nel 2021, in piena pandemia, è stato un segnale che meritava attenzione da un’opinione pubblica che invece è stata distratta da altro per relegare l’impegno per la pace ad un’attività considerata di nicchia delle solite “cassandre”.
Ora che è scoccata la scintilla in grado di dare fuoco all’incendio, anche la galassia dei movimenti per la pace è attraversata da un forte dilemma. Si continua a dire che la popolazione italiana non vuole il coinvolgimento in una guerra dove siamo però già coinvolti con l’invio di armi all’Ucraina e con le operazioni sotto guida Nato.
E comunque, come la storia insegna, si può essere contro la guerra per vari motivi, anche per indifferenza, ma si impone il dovere dell’obbedienza quando scatta la chiamata alle armi per l’avverarsi del casus belli.
Sulla guerra si sono già consumate rotture importanti, come quella avvenuta nel sindacato tra la Cisl e la Cgil, decisamente contraria all’invio di armi.
L’organizzazione guidata da Maurizio Landini è il perno strutturale di una galassia di realtà che sono emerse nella manifestazione nazionale del 5 marzo per contestare la linea fortemente atlantista del governo Draghi.
Ma anche nell’area culturale della sinistra esistono posizioni che partono dall’equiparazione tra Putin e Hitler per giustificare il sostegno ad una resistenza armata che va sostenuta fino alla vittoria.
Nonostante la posizione del papa che non vuole essere ridotto al rango di cappellano dell’Occidente, o meglio di “chierichetto”, per usare l’ammonimento rivolto da Francesco al patriarca ortodosso di Mosca, esiste una forte componente del mondo cattolico italiano che è schierato a favore dell’invio di armi appoggiandosi sulla legittimità della difesa armata contenuta nel catechismo ufficiale della Chiesa cattolica e nel rispetto delle condizioni della guerra giusta che si credevano superate dal magistero successivo all’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII.
È in tale contesto che sono maturate in questi mesi alcune iniziative che si rifanno idealmente all’esperienza di diplomazia popolare e interposizione tentata nel 1992, durante la lunga guerra nella ex Jugoslavia, da alcuni movimenti sotto la guida carismatica del vescovo di Molfetta Tonino Bello. Di quella vicenda dai risvolti chiaroscuri abbiamo parlato su cittanuova.it con Rosa Siciliano di Pax Christi.
Grazie all’iniziativa della comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) è partita poi una missione di pace, “Stop the war now!, condivisa da diverse associazioni e movimenti, che si è recata a Leopoli per cercare un contatto con la società civile ucraina, portare aiuti umanitari e agevolare l’uscita dal teatro di guerra dei soggetti più fragili. Non si è trattato di un’azione politica di interposizione nonviolenta come quella del 1992 o quella praticata in diversi contesti dall’Operazione colomba della Apg23.
Sempre come cittanuova.it ne abbiamo parlato con Alfio Nicotra, di un Ponte per…, che ha vissuto la missione del 1992 a Sarajevo e ha partecipato all’azione di Stop the war now dell’aprile 2022 raccontata su cittanuova.it da Giulio Boschi, che rappresenta concretamente l’adesione del Movimento dei Focolari Italia a questa iniziativa che continua con la recente azione ad Odessa nel giugno 2022, a cui ha partecipato anche Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio e vice presidente della Conferenza episcopale italiana.
Tra i coordinatori di questa carovana della pace che continuerà a partire da luglio c’è don Tonio Dell’Olio di Pax Christi, che rappresenta la continuità diretta con Tonino Bello e quell’iniziativa di diplomazia popolare di pace del 1992 che il vescovo di Molfetta intraprese con il suo corpo segnato dalla fragilità di un male incurabile. Per questo abbiamo intervistato Dell’Olio (qui il link) in procinto di partire verso Odessa, per capire il senso e la prospettiva di un tale gesto davanti ad una guerra che segna un passaggio epocale nel nostro continente e a livello globale.
L’iniziativa di Stop the war now è sostenuta da molte associazioni da sempre impegnate nella pace come il Movimento nonviolento fondato da Aldo Capitini e guidato ora da Mao Valpiana, impegnato tra l’altro a sostenere gli obiettori di coscienza alla guerra sia in Russia che in Ucraina.
Sulla nonviolenza, che è il contrario della resa ma richiede una forte determinazione di resistenza civile non armata, si rimanda al dialogo web intervenuto per iniziativa di Economia Disarmata tra Valpiana, Luigino Bruni e Martina Pignatti che dirige l’attività dei corpi civili di pace dell’associazione Un ponte per…
Accanto a questo percorso si pongono tante altre iniziative di solidarietà diretta con l’Ucraina, oltre ad iniziative di carattere politico e sociale che partono da diversi ambiti. Uno di questi è quello che trova le sue origini nel manifesto per un nuovo welfare promosso dal consorzio Sale della terra, una realtà del terzo settore guidata da Angelo Moretti, per cercare, al tempo del governo Conte 2 e poi con quello di Draghi, un’interlocuzione politica in vista dell’elaborazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Tra le proposte si trova anche quella relativa alla conversione economica delle attività produttive di armi. Seguendo tale filone Moretti ha trovato dei compagni di strada, tra i quali l’Azione cattolica e il mensile Vita specializzato nel terzo settore, disposti a cercare il modo di rispondere alla crisi della guerra in Ucraina, decidendo di recarsi sul posto per intessere rapporti diretti con la società civile, le Chiese e le istituzioni. Da tale iniziativa è nata la proposta di costituire il Mean, un movimento europeo di azione nonviolenta, diverso dallo storico movimento nonviolento guidato da Valpiana, che promuove un’iniziativa a Kiev nella giornata dell’11 luglio, festività di san Benedetto, patrono d’Europa e memoria della strage di Srebrenica, in Bosnia, del 1995. Alla vigilia di tale evento, il 10 luglio sono previsti collegamenti video dall’Ucraina con diverse città Italiane.
L’idea di portare quel giorno migliaia di persone nella capitale ucraina è stata ridimensionata anche per via della legge marziale in vigore nel Paese in guerra.
I dieci punti del Mean sono quelli riportati qui da Vita, ma l’iniziativa ha trovato spazio anche sui grandi quotidiani nazionali ed è stata presentata nella sala stampa del gruppo Pd alla Camera.
Una sorta di manifesto politico è l’intervento pubblicato su Repubblica a firma di Angelo Moretti e Marco Bentivogli, ex segretario generale della Fim Cisl, ora tra i promotori del movimento riformista Base Italia. Nel testo pubblicato dal quotidiano diretto da Maurizio Molinari si afferma che il «passaggio delle armi costituisce un male necessario, ma non una soluzione al conflitto».
«La solidarietà vera – sostengono Bentivogli e Moretti – passa solo attraverso la presenza dei nostri corpi fisici di cittadini europei nei luoghi del conflitto, accanto al popolo aggredito, per sostenere ogni azione utile a sottrarre la morte alla logica di dominio e di vendetta, aumentando le evacuazioni, supportando l’unità nazionale del popolo ucraino aggredito nel suo desiderio di indipendenza, difendendo la sua cultura, impedendo la spoliazione dei suoi musei, aiutando nel soccorso dei feriti e contemporaneamente nella ricostruzione del tessuto economico di una nazione che non aveva fatto in tempo a riprendersi dallo shock della pandemia».
Per capire le ragioni e la visione che muove questa azione verso Kiev abbiamo perciò ascoltato Angelo Moretti in questa intervista video.
Si tratta di comprendere come si colloca l’iniziativa di questa parte di società civile nell’orizzonte tracciato dal vertice Nato di Madrid e nei confronti della mobilitazione Europe for peace promossa per il 23 luglio dalla rete Pace e disarmo e da una vasta schiera di associazioni in tutta Italia per chiedere che «il nostro Paese, l’Europa, le Nazioni Unite operino attivamente per favorire il negoziato e avviino un percorso per una conferenza internazionale di pace che, basandosi sul concetto di sicurezza condivisa, metta al sicuro la pace anche per il futuro».
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