Quale futuro per Torino con Manley?

Esce di scena per motivi di salute l'amministratore delegato di Fca, mentre la città cerca di tornare grande ed è alle prese con grandi sfide economiche, politiche e culturali.
La sede Fiat di Torino

L’addio dell’amministratore delegato di Fca, Sergio Marchionne, arriva in un tempo complicatissimo per Torino. Una fase piena di sfida per la prima capitale d’Italia, certamente lontana dall’aver definito un futuro che l’ad italo-canadese aveva provato a delineare attorno a Mirafiori con le istituzioni locali, non senza una serie di incompiute industriali che Città e Regione oggi hanno in cima all’agenda pronte per discuterne con la società.

Mirafiori e Grugliasco hanno lavorato “a mezzo servizio” molto tempo negli ultimi anni, ma ai cancelli della Fiat fondata dal senatore Giovanni Agnelli sono in molti a ripetere che senza il duo Marchionne-Elkann sarebbe stato ancora più incerto il destino dello stabilimento in Italia.

È stato reinterpretato come polo del lusso quel triangolo tra Torino Mirafiori, Grugliasco con la Maserati e Rivalta, con suv e auto potenti, Alfa Romeo e casa del Tridente, da esportare in tutto il mondo. Le vedi sfrecciare da quella periferia rarefatta e in cerca di destini, sino al colle del Sestriere e ritorno, in quella valle montana dove c’è Villar Perosa, culla della famiglia Agnelli.

All’opposto di Mirafiori, dall’altra parte della città c’è CNH Industrial, ex Iveco, dove escono camion, trattori, macchine movimento terra tra le migliori al mondo. E ancora più in là, dove il Po incontra la Stura, c’è la fabbrica dei motori, che ha fatto la storia del diesel con il common rail e oggi è all’avanguardia nella ricerca e nelle sperimentazioni, volute proprio da Marchionne, capace di puntare sull’elettrico realmente sostenibile. E forse sull’idrogeno.

John Elkann e Sergio Marchionne al Salone dell'auto di Detroit
John Elkann e Sergio Marchionne al Salone dell’auto di Detroit

Mai come negli ultimi anni, la Fiat si è separata da Torino. La sede legale di FCA è ad Amsterdam, il domicilio fiscale a Londra. Fuori da Confindustria, per volontà dello stesso Marchionne. Filogovernativo con tutti i governi, da Berlusconi a Gentiloni. Anche uno come Sergio Chiamparino, prima sindaco di Torino e poi presidente della Regione Piemonte, ha sempre esaltato le grandi doti del manager, capace di non far vendere la Fiat agli eredi dell’Avvocato Agnellli e di rilanciarla fondendola con Chrysler. Capace di fare “macchine belle” e potenti e di rivoluzionare le relazioni sindacali, secondo un modello lontano da una certa sinistra “storica” torinese.

A Mirafiori non ci sono più gli oltre 20mila operai degli anni settanta. Sono rimasti in poche migliaia. Sono lontani i tempi dell’avvocato e di Valletta, ma anche quelli della marcia dei quarantamila e delle storiche trattative sindacali dei metalmeccanici.

Le sfide di Torino ripartono da qui, non dalle trattative, ma dalla capacità di dialogo tra imprese, mondo accademico, potenti fondazioni bancarie (San Paolo e Crt in primis), politica che vuole contare. È emblematico che si debba ancora una volta ripartire dal fermento della fabbrica e da quello che sarà Mirafiori nel futuro, con quali modelli verrà potenziata (almeno uno oltre al potente suv Mirafiori Levante), quali saranno i livelli di occupazione e come l’azienda continuerà a essere legata al territorio.

Il territorio, appunto. Segnati dalla storia industriale, Torino e il Piemonte hanno avviato una profonda rivoluzione che in due decenni ha pochi eguali in Italia e in Europa. Non più grigia e non più operaia, la città ha costruito dinamicità e crescita in vista delle Olimpiadi invernali del 2006, riconosciute come spartiacque e come vera cesura tra il Novecento e il Duemila. Merito degli Agnelli, si disse allora. L’ultimo regalo a Torino, dopo i Mondiali di sci di Sestriere del 1997 e la Pinacoteca del Lingotto. Oggi è tutto diverso.

La Fiat non parlerà italiano neanche come seconda lingua e gli Agnelli a portare le Olimpiadi non ci sono più, anche se Andrea Agnelli ha portato a Torino Cristiano Ronaldo generando non poco fermento in città. Ma anche quella di Cr7 è una grande sfida. Durerà tre stagioni al top? Di certo la Juventus è un punto fermo, almeno secondo i taxisti che ti confermano che il lavoro arriva da lì, dalle partite e dai turisti che vogliono conoscere storia e presente della Juve, vicino all’Allianz Stadium e alle zone della Cortinassa riqualificate dalla società calcistica.

Poi ci sono le Olimpiadi invernali nel 2026. I taxisti sono pessimisti. Il Coni ha  chiesto alle tre città italiane pre-candidate – Torino, Milano, Cortina – una chiara delibera politica di impegno, con un’unità di intenti netta. Cosa che Palazzo Civico, casa dell’amministrazione targata Chiara Appendino, non ha ancora fatto. Anzi, non sono pochi i rappresentanti del Movimento 5 Stelle che si sono messi di traverso ai Giochi. Quasi gli stessi che ancora nei giorni scorsi, prima e dopo gli attacchi al cantiere di Chiomonte, hanno ribadito il no alla Tav, il tunnel di 50 chilometri dalla Val di Susa verso Lione continua a generare scontri. E il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli, poche settimane fa, ha rimesso tutto in gioco (non olimpico).

Proprio come sulla conclusione della Asti-Cuneo, un’autostrada incompiuta, che potrebbe restare tale se ad agosto il Cipe non sbloccherà le risorse necessarie per gli ultimi chilometri di collegamento tra i due capoluoghi del vino. Più certo il destino del terzo valico, quello che da Genova dovrebbe sbucare in Piemonte e proseguire verso il Sempione, Svizzera e Nord-Europa. Ma Torino dentro quello schema non c’è, essendo coinvolta Novara.

Così, tra una Milano che corre veloce, cerca eventi e visibilità nel mondo, Torino ritorna a cercare il suo destino. Musei come Cinema ed Egizio, straordinari capolavori culturali, hanno visto diminuire i visitatori nel 2017. E anche gli eventi all’aperto, dopo la tragedia di piazza San Carlo, sono diminuiti. Ai fuochi artificiali sul Po per la festa del patrono San Giovanni sono subentrati moderni droni luminosi da far volare in piazza Castello, a pochi metri dalla Cappella della Sindone realizzata dal Guarini che verrà riaperta tra pochi mesi dopo vent’anni di lavori di restauro a seguito del rogo del 1997.

Mentre la Regione si prepara alle elezioni del 2019 – che secondo i sondaggi non finiranno bene per il centrosinistra e per Chiamparino, che ha già annunciato di non volersi ricandidare – la città è alla ricerca di scalini da salire. Ridurre le sperequazioni tra centro e periferie è l’imperativo dell’amministrazione Appendino. L’epoca Marchionne che si chiude riporta FCA con forza al centro dei pensieri di chi governa e di tutta la città. Che la prima riunione dell’ad Manley si tenga a Mirafiori (era previsto da tempo) apre qualche speranza. E a un complesso dialogo di istituzioni e sindacati con i nuovi vertici. È l’ennesima sfida per Torino e il Piemonte.

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