Quale futuro per l’Europa?
Innanzi tutto grazie di essere qui Insieme per l’Europa, di nuovo e in tanti, dopo il 2004, per dire che questa Europa ci interessa, che è l’orizzonte della nostra vita. Dobbiamo la fedeltà a questo appuntamento anche a una nostra grande amica, Chiara Lubich, che ha voluto con tenacia questo nostro ritrovarci qui. Chiara, nata nel Trentino di De Gasperi, italiana ma alle porte del mondo tedesco, ha sentito dalla giovinezza il dramma della guerra tra europei. Il carisma del suo movimento, l’unità, matura sotto le bombe, come speranza cristiana per un intero continente. Infatti, una generazione, quella di Giovanni Paolo II, la stessa generazione di Chiara, ha conosciuto l’orrore della guerra tra europei, l’odio tra francesi e tedeschi, i bombardamenti, i campi di concentramento e di sterminio. Per due volte nel Novecento, la guerra tra europei è diventata guerra mondiale, coinvolgendo il mondo intero. Gli europei hanno creduto di poter costruire un ordine nuovo gli uni sugli altri. Questa è stata la follia del nazionalismo. Dopo la guerra sono venuti i tempi della ricostruzione. La guerra mondiale ha mostrato l’abisso apocalittico del male: Auschwitz, che ha ingoiato milioni di vite di bambini, donne, uomini, colpevoli solo di chiamarsi Levi o Coen, di essere ebrei, zingari e anche slavi. Dopo l’abisso, si poteva tornare come prima, a combattersi come sempre? Le vostre iniquità hanno scavato un abisso… dice il profeta Isaia (Is 59, 2). Bisognava colmare l’abisso! Dall’abisso di Auschwitz è partito il processo costruttivo dell’Europa fino all’Unione europea. Ma l’Europa centro-orientale era fuori, chiusa nel sistema comunista. Quasi tutti si erano rassegnati. Solo nel 1978, un vescovo, un polacco, Giovanni Paolo II, espressione del genio cattolico europeo, gridò forte che l’Europa non poteva respirare con un solo polmone. Era innaturale e malato. Venne l’89, una delle più grandi rivoluzioni – per intelligenza degli uomini e per dono di Dio -, senza spargimento di sangue. Quel sangue risparmiato esige, chiede che né oggi né mai ci sia uno spirito di vendetta in Europa, anche se gli uomini sono stati deboli, anche se qualche volta la vendetta la chiamano giustizia. Una rivoluzione così speciale è stata un grande dono per l’Europa. L’Europa è cambiata. L’Oriente europeo ha bisogno dell’Occidente, il nostro Occidente ha bisogno dell’Oriente. L’Oriente cattolico ha bisogno anche del genio dell’ortodossia greca, russa, slava, romena. E non posso non salutare i miei amici, il vescovo Athanasios e il vescovo Serafim che sono qui. Non vedete quanto è diffusa in Occidente l’icona nelle nostre case e nelle nostre Chiese? Mi chiedo: noi europei, figli di una terra dove i cristiani si sono divisi, tra Roma e Costantinopoli agli inizi del secondo millennio, e poi nel Cinquecento, noi europei possiamo rinunciare al sogno dell’unità, per cui Gesù ha pregato: che siano una cosa sola? Non possiamo. Avevo quattordici anni e ricordo la gioia dell’incontro tra Paolo VI e il patriarca Athenagoras a Gerusalemme. Una pagina si voltava. Ma ora il vento della storia fa tornare indietro quella pagina? Il card. Kasper, grande tessitore di incontri ecumenici, ricorda l’emozione di Augsburg. Ma oggi dove tira il vento? Se le nostre comunità saranno sorelle, i popoli europei saranno fratelli. L’unità tra cristiani deve divenire la madre della collaborazione quotidiana che ci affratella e della preghiera che ci raccoglie. È questo ciò che il nostro grande amico Helmut Nicklas ha sempre sostenuto con passione. A lui vogliamo inviare i nostri saluti e i nostri auguri più affettuosi. Siamo in ventisette Paesi: un grande orizzonte. Abbiamo la pace, le risorse economiche, la libertà per sognare un futuro bello. Per i nostri paesi, per le giovani generazioni. Noi possiamo sognare! Siamo liberi di farlo. La libertà è un grande dono. Questa libertà, l’abbiamo sofferta. Il pastore de Clermont, con la Chiesa riformata, ricorda la storia difficile delle minoranze evangeliche in terra cattolica: una testimonianza preziosa del primato della Parola di Dio e della libertà. I nostri padri hanno pagato per la libertà. Penso al pastore Paul Schneider, ucciso a Buchenwald, penso all’amore per la libertà di Bonhoeffer, alle centinaia di migliaia di cristiani, uccisi in terra sovietica e nell’Est. La libertà è una eredità da accettare con responsabilità non un’occasione da sprecare e da godersi. Ricordate l’apostolo Paolo? Fratelli, siete stati chiamati alla libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità, siate al servizio gli uni degli altri (Gal 5, 13). Che fare di questa libertà di cui godiamo? Amici, qualcuno lamenta che, in questo nostro tempo, mancano visioni per cui spendersi. Mancano grandi visioni e grandi profeti. Ma non è vero. Forse non si vedono, perché camminiamo con gli occhi bassi. Nel Vangelo c’è una donna curva, che non poteva drizzarsi in nessun modo. Gesù la vide e la guarì: si raddrizzò e glorificava Dio (Lc 13, 10ss). Le visioni spesso non si vedono, perché si è curvi sulla vita quotidiana, su sé stessi, sui propri vicini. Lasciamoci guarire e raddrizziamoci per guardare finalmente! Quando vedo questa gente, qui raccolta, questa è una visione: donne e uomini europei uniti. È la visione di un’Europa unita: un modo europeo, cioè, di essere tedeschi, francesi, italiani, spagnoli, austriaci, polacchi, romeni, britannici… E mi scuserete per i Paesi che non ricordo. Se le istituzioni sono rigide, se i processi tardano, se i politici esitano, se un gruppo getta la responsabilità dei ritardi sugli altri, noi, cristiani europei, dobbiamo avere il coraggio di promuovere un sentimento comune europeo, capace di abitare cuori e menti. Diciamo: mancano i profeti. Ma non dobbiamo noi essere popolo profetico? Saremo profetici se ci abbeveriamo alla Parola di Dio e non alle chiacchiere di dibattiti vuoti e gridati. Chi ascolta la Parola di Dio, può vivere da profeta. Ha un senso profetico, cari amici, essere cristiani europei insieme per l’Europa. Popolo profetico vuol dire capaci di un sentimento di insieme, unitivo, che diventi corrente vitale tra i nostri concittadini, cristiani e non cristiani, credenti o non credenti. E allora dopo Stoccarda non dobbiamo aggiungere ai compiti e ai servizi dei nostri movimenti una decisiva profezia europea? Non dobbiamo sentirci profeticamente cristiani europei? I profeti li abbiamo avuti. Roger Schutz ha percorso l’Europa per decenni e ha fatto di un piccolo luogo, Taizé, un cuore dell’Europa attraverso la preghiera. Evangelico svizzero, amatissimo dai cattolici, amico degli ortodossi, frère Roger ha posto la preghiera alla radice dell’unità. Chi raccoglierà il suo mantello di profeta? Forse i nostri sogni sono modesti. Ci chiudiamo nelle nostre identità di gruppo. Identità bellissime, sono anche la mia. Ma dobbiamo approfondirle e dobbiamo tutti porci sotto il mantello del profeta, essere popolo di cristiani europei: provenienti da Chiese, tradizioni, carismi, spiritualità, carismi differenti, ma insieme capaci di travolgere e di coinvolgere gli europei in un destino comune. Abbiamo un destino comune. Qualcosa da comunicare ai nostri concittadini come una convinzione, come una visione, come una passione in più. Senza il destino europeo comune, nel grande futuro – un futuro fatto da cultura e dalle masse asiatiche – noi tedeschi, noi belgi, olandesi, ungheresi, portoghesi e altri europei, che futuro avremo se non essere insieme? L’Europa non è il centro del mondo. La storia di domani è fatta di mondi grandi diversi dal nostro. Io non dico che bisogna indulgere allo scontro di civiltà. Ma il mondo di domani non lo abbiamo in tasca. E nel mondo di domani dovremo essere insieme europei, perché abbiamo valori preziosi di libertà, di fede, di solidarietà, di cultura, da portare avanti. Divisi, ci disperderemo. Perderemo i nostri valori, ma insieme faremo crescere la passione europea, la forza unitiva che cementa i nostri Paesi. Essere europei diventa una vera vocazione. In questo nostro mondo, anche pochi (ma pochi non siamo) possono deter-minare il futuro. Pochi, l’11 settembre 2001, con il terrorismo hanno turbato il mondo intero. Pochi o molti, con il sogno dell’Europa unita, potranno offrire un umanesimo europeo capace di costruire pace. I cristiani saranno il cuore di questo umanesimo. Chi ama il Vangelo, ama l’uomo. Un antico testo cristiano dice: Non siate mai lieti, se non quando guarderete con amore il vostro fratello. La forza dell’umanesimo dei cristiani è guardare con amore il fratello. Per questo dobbiamo chiedere che in Europa cresca la giustizia: c’è lo scandalo di una povertà troppo grande. Dobbiamo chiedere giustizia per i deboli, i nascituri, i bambini, i malati, gli anziani. L’umanesimo europeo non è solo quello di chi sta bene. Un’Europa unita vuol dire un’Europa che comprende i più deboli e i più poveri. Ma io vorrei dire: non possiamo essere lieti, anche quando il nostro grande vicino sta male. E il nostro vicino è l’Africa, la grande Africa subsahariana. E devo dire con dolore che dal 2004 è diminuito l’impegno europeo verso l’Africa. La politica va in senso contrario rispetto alla giustizia. Per noi cristiani l’Europa non può vivere per sé stessa. L’Africa è il nostro vicino: l’Africa delle guerre, l’Africa dei 30 milioni di sieropositivi, l’Africa, dove due terzi sono esclusi dal benessere. Saremo uniti, saremo lieti, come Europa, quando guarderemo con amore e con coinvolgimento l’Africa. Che mi aspetto dal domani? Mi aspetto che da Stoccarda venga un movimento di sentimenti e di idee perché l’Europa sia unita, guardi all’Africa, perché alimenti la sua anima di umanesimo, perché sia una corrente di passione per travolgere le rigidità e gli egoismi. Insieme per l’Europa non è una bella manifestazione ma la volontà e l’espressione di una vocazione per noi cristiani. Diverrà una corrente profonda della storia, una corrente che alla fine sarà travolgente e coinvolgente.