Quale futuro per il Commonwealth in Africa?

Mentre il mondo attende l'incoronazione di Carlo III, nuovo capo designato del Commonwealth delle Nazioni, alcuni studiosi africani si chiedono quale sia lo scopo del Commonwealth nel XXI secolo e ritengono l’istituzione ancorata a principi associativi ormai superati
Riunione dei capi di governo del Commonwealth (CHOGM), cerimonia di apertura. Kigali (Ruanda), 24 giugno 2022. Foto: Paul Kagame/Flickr https://www.flickr.com/photos/paulkagame/52169925180

All’inizio del XX secolo, le colonie britanniche erano ancora governate dal Regno Unito. Dopo la prima guerra mondiale, il sentimento nazionalista crebbe a tal punto che nel 1926 il Regno Unito e i domini concordarono di essere su un piano di parità. La dichiarazione fu ufficializzata con lo Statuto di Westminster nel 1931, che segnò la creazione del Commonwealth britannico.

Attualmente il Commonwealth comprende 56 Paesi che rappresentano 2,5 miliardi di persone, ovvero un terzo della popolazione mondiale. Quasi la metà dei Paesi membri sono africani, tra cui Gabon, Rwanda e Togo, che non sono mai stati colonizzati dagli inglesi.

Ci sono voci sempre più insistenti che sostengono che forse il Commonwealth può ridefinirsi in questa nuova era.

Sithembile Mbete, docente senior presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pretoria, in Sudafrica, ritiene che «l’idea del Commonwealth è vecchia. È esplicitamente un modo per mantenere la struttura dell’imperialismo britannico, anche se il sistema politico dell’imperialismo britannico è giunto al termine».

Secondo gli esperti, il Commonwealth era direttamente legato alla regina Elisabetta e serviva a legittimare il suo regno al di fuori della Gran Bretagna dopo l’indipendenza delle ex colonie. Dopo la dipartita della regina, il futuro del Commonwealth è tutt’altro che certo.

Al di là del dibattito sulla durata dell’istituzione, in tutta l’Africa si discute della sua utilità politica. Nel 2018, i Paesi membri hanno accettato che l’allora principe Carlo diventasse il capo designato del Commonwealth, pur mantenendo la clausola di non ereditarietà del titolo prevista dalla Carta costitutiva. Secondo molti esperti, la posizione del titolare è sostanzialmente cerimoniale, ma ha anche connotazioni storiche di proprietà.

La morte della regina Elisabetta II ha provocato un’ondata di sentiti omaggi nelle ex colonie britanniche, ma l’ammirazione per lei non è stata unanime. Per alcuni, la sua morte ha riportato alla memoria la storia a volte sanguinosa del dominio coloniale: atrocità contro le popolazioni indigene, furto di opere d’arte e manufatti dai Paesi dell’Africa occidentale, oro e diamanti dall’Africa meridionale e dall’India, schiavitù e oppressione.

Durante la riunione dei capi di governo del Commonwealth di quest’anno, a Kigali dal 20 al 25 giugno, l’allora principe Carlo ha espresso «il profondo dolore personale» per la tratta degli schiavi, un argomento controverso che l’istituzione non ha ancora affrontato in modo adeguato nonostante studiosi e leader politici africani abbiano sollevato il problema.

Appena un mese dopo il vertice biennale di giugno, un tweet del presidente del Ghana, Nana Akufo-Addo, che chiedeva risarcimenti è diventato virale sui social media. Diversi studiosi africani affermano che è giunta l’ora di fare i conti.

«Il Commonwealth delle Nazioni potrà essere rilevante solo se inizierà a parlare delle atrocità e delle disuguaglianze globali causate dalla monarchia», ha dichiarato Njoki Wamai, assistente alla cattedra di Relazioni internazionali presso la United States International University-Africa di Nairobi. Ha aggiunto che le questioni delle riparazioni, delle disuguaglianze commerciali e dell’immigrazione dovrebbero essere prioritarie per i Paesi membri del Commonwealth, essere prese in considerazione.

Ma non tutti sono della stessa idea. Francis Tsegah, senior fellow del Centro per il Governo Democratico del Ghana, che in precedenza lavorava presso il Servizio Estero del Paese, è tra coloro che ritengono che «l’organismo sia ancora rilevante per aiutare l’Africa ad affrontare le sfide contemporanee». Ma secondo lui l’istituzione, che non è del tutto solo simbolica, deve togliersi di dosso alcune delle impronte coloniali a cui è stata associata. «Al di là del simbolismo, ci sono molte interazioni interpersonali che avvengono, e che di solito non sono riportate dai media», ha affermato. L’impegno più visibile, oltre alla riunione biennale dei capi di Stato, è rappresentato dai Giochi del Commonwealth, che si tengono ogni quattro anni, e da altri programmi incentrati sui giovani in materia di istruzione e politica.

Mentre il Commonwealth si prepara a una nuova era sotto re Carlo, l’Africa potrebbe non presentare un fronte unito nei futuri impegni, data la peculiare storia coloniale di ciascun Paese in relazione alla Gran Bretagna. È evidente che non esiste un’unica visione unitaria su come navigare tra passato, presente e futuro per coloro le cui vite sono innegabilmente legate al passato coloniale della Gran Bretagna, con o senza il Commonwealth.

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