Qualcuno volò sul nido del cuculo

Celebre per il film con Jack Nicholson, c'è ora una versione teatrale italiana con la regia di Alessandro Gassman adattata dal giallista Maurizio De Giovanni che ha “napoletanizzato” la vicenda trasportandola nel 1982 nell’ospedale psichiatrico di Aversa
Un momento dello spettacolo

Non era semplice rappresentarla in scena. Ma la sequenza finale in cui il corpulento paziente che per molti anni si era finto sordomuto, fugge dal manicomio riconquistando la libertà, sortisce un grande effetto. La sua immagine prende consistenza sul grande velatino che riempie l’intero boccascena, proiettata nell’atto di infrangere il vetro colpendolo con una statua sollevata dal piedistallo, mentre avanza ingigantito verso la platea, e scomparire.

 

L’effetto cinematografico a teatro con l’uso delle videografie è nello stile di Alessandro Gassman regista che, negli ultimi suoi allestimenti, ne ha fatto una componente drammaturgica sostanziale. Ne fa un uso più discreto in “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, spettacolo che prosegue la sua lunga e fortunata tournèe (iniziata lo scorso anno dopo il debutto al Teatro Bellini di Napoli), nell’adattamento teatrale dello scrittore Maurizio De Giovanni. Il noto giallista ha “napoletanizzato” il romanzo omonimo di Ken Kesey reso famoso per la trasposizione cinematografica di Milos Forman con un memorabile Jack Nicholson, tratta a sua volta dall’adattamento scenico di Dale Wasserman nel 1971, a Broadway. Trasportando l’ambientazione nell’ospedale psichiatrico di Aversa lo ha contestualizzato nel 1982.

 

Se la vicenda, all’epoca, il 1962, rifletteva il tema delle condizioni dei soggetti psichiatrici in un periodo in cui si affacciava con sempre maggiore urgenza sulla scena sociale, riproposta oggi rimette in discussione la questione dopo la chiusura definitiva dei famigerati Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Gassman non è nuovo a portare in scena temi di denuncia sociale, e ora ancor di più con questo testo considerando i temi forti che contiene come quelli della malattia, della diversità, della coercizione, della privazione della libertà. Nella realistica scenografia a due piani di un padiglione luminoso, sotto, con alte vetrate e gabbiotto, e, sopra, uno più oscuro di celle per i pazienti cronici, il gruppo di malati disturbati è tenuto sotto una rigida disciplina dagli operatori della struttura con a capo una suora laica, Suor Lucia.

 

L’arrivo di un piccolo delinquente, spavaldo, irriverente, ribelle, Dario Danise, che si fa credere matto per evitare il carcere pensando di cavarsela in tempi brevi, getterà lo spingerà i sette fragili “pazzarielli” (ciascuno con una precisa inflessione regionale) lì rinchiusi volontariamente per la paura di affrontare il mondo fuori, a prendere coscienza del loro essere persone, risvegliando in loro il diritto di esprimere liberamente emozioni e desideri, di poter assumere il controllo della propria vita, e la speranza di essere liberi. Ma il disordine generatosi avrà gravi conseguenze nel più giovane dei degenti e anche per Dario che pagherà a colpi di elettroshock prima e di lobotomia dopo, la sua irrequietezza libertaria. Fino alla “liberazione” della morte che avverrà per mano di Ramon, il gigante buono, l’amico a sua volta liberato dal letargo mentale e dalle paure infantili, che lo soffocherà con un cuscino. Il catatonico omone qui è un sudamericano (l’intenso Gilberto Gliozzi) che rivive nel sogno il rapporto conflittuale e nostalgico con la madre e con la sua terra che, in più momenti, gli appaiono simbolicamente, come in sogno, sullo schermo.

 

Lo spettacolo, con un nutrito cast di attori, mette in luce la bella prova di un dirompente Daniele Russo nei panni dello spavaldo delinquente (al quale si perdonano troppe facili battute da macchietta napoletana per strappare le risa), e quella di una bravissima, e bella, Elisabetta Valgoi, l’algida e inflessibile direttrice, con una interpretazione tutta interiore, d’implosione, disvelata progressivamente, che recita per sottrazione anaffettiva.

 

“Qualcuno volò sul nido del cuculo”, di Dale Wasserman, versione italiana Giovanni Lombardo Radice, scene Gianluca Amodio, costumi Chiara  Aversano, luci Marco Palmieri, musiche originali Pivio & Aldo De Scalzi, videografie, Marco Schiavoni, regia Alessandro Gassmann. Produzione Fondazione Teatro di Napoli. In tournèe, tra cui Livorno, Teatro Goldoni, il 16 e 17/2; Firenze, teatro Verdi, dal 19 al 21; Forlì, Teatro Diego Fabbri, dal 25 al 28.

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