Qualcuno mi ama? (Evangelii Gaudium *169-173)
*169-173 – L’accompagnamento personale
L’acuta riflessione di papa Bergoglio suscita una riflessione: in ogni cultura, il bambino nasce all’interno di un complesso reticolo di relazioni sociali, che si estendono dall’immediato contesto familiare, alla comunità e alla società. Nella nostra società ferita dall’anonimato e spudoratamente malata di curiosità morbosa, abbiamo bisogno di uno sguardo per rendere presente la fragranza della presenza vicina di Gesù.
Quante volte, lungo il nostro pellegrinare educativo, incontriamo uno sguardo di supplica, di ricerca: qualcuno mi ama? Lo sguardo autentico penetra fino alle fibre più intime del cuore, rende possibile la prossimità e crea rapporti, relazioni. Soltanto lo sguardo del maestro sa cogliere, fra luci e ombre, la vera realtà del discepolo, intravedendo in lui, con lui, la sua profonda, insostituibile unicità, talvolta nascosta in fondo a mille labirinti sconosciuti (perfino a lui stesso), e lo fa diventare persona; non un ente qualunque, un individuo perso nella immensità del cosmo, ma una persona!
Perché persona, si diventa soprattutto nell’“incontro”, nell’ evolversi misterioso di quel rapporto: “io-tu” che si costruisce nel tempo, nell’alternarsi della parola con profondi silenzi i quali, più di tante parole, sanno e-ducere (tirar fuori) passo dopo passo, la vera essenza da ciascuno, il mistero della vita di grazia che nessuno può conoscere pienamente dall’esterno.
Lo psicanalista francese Lancan definisce la seconda fase dello sviluppo della personalità, fase dello specchio, caratterizzata dal fatto che, «specchiandosi nell'immagine che la madre ha di lui, il bambino se ne appropria e definisce la sua identità in funzione di ciò che la madre desidera ch'egli sia». Questo sguardo, arte dell’accompagnamento, è fondamentale nell’educazione, anche della fede. Uno sguardo che coinvolge fin dai primi mesi di vita non solo i genitori ma l’intera comunità che accoglie i piccoli. «Chi accoglie questo bambino nel mio nome accoglie me» (Lc 9,48), è una frase che ci sprona a “guardare” i piccoli come li guarda Gesù. Gesù “specchio” di Dio Amore, un Dio che si è fatto relazione, Trinità. In questa prospettiva lo sviluppo si realizza nella duplice dimensione della relazione con Dio e con il prossimo. Relazione che è in ciascuno («Ama il prossimo tuo come te stesso» Mt 19,19), ma è anche tra noi («Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» Mt 18,20) e ci avvolge tutti («Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli», Mt 23,8).
Una relazione che ci spinge ad assumere uno stile educativo capace di uno sguardo personale che non ignora i limiti e le difficoltà, ma che attraverso una paziente attesa riesce ad “andare oltre”, è capace di togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es, 3,5), perché guarda lo specchio Gesù e quindi, ha fiducia nelle possibilità di riuscita della persona; è una relazione che motiva e incoraggia[1], prende l’iniziativa; sa comprendere; è creativa[2]; inventa soluzioni imprevedibili e non si lascia codificare; porta all’edificazione della comunità.
Teresa Boi
pedagogista, membro del board di Edu
[1]Cf C.M. MARCHISIO, Nessuno resti indietro, in M. DE BENI (Ed), Essere educatori coraggio di una presenza, Città Nuova, Roma, 2013.
[2]Cf. T. THATCHENKERY, C. METZKER, Intelligenza valorizzativa, Vedere la grande quercia nella ghianda, Franco Angeli, Milano, 2007.