Qualcosa è cambiato nella testa di Elena
«Il Signore, che illumina con la fede i nostri cuori, ti dia una vera conoscenza dei tuoi peccati e della Sua Misericordia». «Amen!» rispondo decisa, verso la grata. «Dimmi figliola». So perché sono entrata nel confessionale di una chiesa che non conosco, ben lontano da casa, ma ora che sarebbe tempo di verbalizzare, mi sento una perfetta idiota. Peccato ho peccato, tutti in qualche modo manchiamo quotidianamente nell’amare. Tuttavia, il peccato principale per cui sono venuta qui…
«Fare l’esame di coscienza sarebbe utile prima di venire a confessarsi, non trovi?» mi fa notare bonariamente il sacerdote oltre lo sportellino «Vediamo di aiutarti: hai peccato in pensieri, parole, opere, omissioni?». Non posso fare scena muta in un confessionale, sarebbe proprio umiliante! Così, con una botta d’orgoglio, mi faccio forza e comincio l’elenco, partendo da quelli che mi rimane più semplice ammettere, i peccati reali, quelli che non sono ancora riuscita a migliorare nel mio cercare di essere una cristiana coerente: il giudizio verso gli altri, l’intransigenza, certe rigidità, anche il senso di colpa.
Magari, alla fine, sarebbe opportuno anche dire la verità… sui tuoi pensieri. A parlare è stata una vocina malevola, proprio accanto all’orecchio, ottenendo l’effetto di farmi capitolare. «E poi, ho pensieri di… bestemmia, sono tentata continuamente di bestemmiare» ammetto. E nel dire quella parola mi viene quasi da vomitare, non in senso metaforico, proprio fisico. Comincio a sudare freddo, e ho paura di ascoltare la reazione del sacerdote.
«In che senso?» mi chiede lui senza scomporsi. «Nel senso…» le lacrime cominciano a riempirmi gli occhi e penso che, se solo riuscissi a lasciarle scendere, magari mi sentirei pure meglio. Intanto, cerco le parole giuste per rispondergli senza rischiare di sembrare pazza: «Come degli intrusi che entrano nella mia testa e mi feriscono, perché a me fa schifo sentire bestemmiare… e non capisco quello che mi succede».
«Ti succede spesso?» mi chiede. «Tutti i giorni…» rispondo affranta. «E quando ti succede poi, cosa fai?» Lo so con precisione: «Recito delle preghiere, cioè, sono più delle giaculatorie per riparare ai miei pensieri. Quella che mi mette di più in pace è: “Benedici il Signore anima mia”». «E dopo vai a confessarti?». Come fa a saperlo? «Sì…», ammetto. «E magari, ogni volta che capita?».
Non capisco che cosa c’entri la frequenza della confessione con il mio peccato, tuttavia devo dire di nuovo “sì”. Di colpo, realizzo che questo mese mi sarò confessata, con sacerdoti tutti diversi, almeno una o due volte alla settimana, vivendo nell’angosciosa attesa di nuove incursioni blasfeme ogni attimo del resto del tempo.
«Posso darti un consiglio… Come ti chiami?». «Elena» rispondo. «Elena, siccome a te questi pensieri fanno male, a me sembra che più che di peccato, si tratti di un problema di natura psicologica, di cui sarebbe bene parlare con un esperto, per farsi aiutare a superarlo, capire da dove nasce». Poi, mi dà l’assoluzione e uscito dal confessionale comincia ad armeggiare con il suo cellulare. «Prendi questo numero. È una persona fidata, ha aiutato tante persone con problemi simili ai tuoi».
Poi, mi saluta, accarezzandomi la testa, e si dirige verso l’altare della chiesa. Io sono stordita. Rimango immobile per un po’, guardando il Crocifisso. Gesù, malgrado quella posizione tutt’altro che comoda sembra sorridermi, invitante. Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua Croce e mi segua.
C’è voluto del tempo: prima per decidermi a chiamare lo psicologo, e poi per ammettere con me stessa di avere un problema. La diagnosi è arrivata quasi subito: Disturbo Ossessivo Compulsivo dei pensieri, che il mio psicologo abbrevia chiamandolo semplicemente DOC.
È un disturbo che prende forme diverse a seconda delle persone ma i cui sintomi sono caratterizzati da pensieri ossessivi associati a compulsioni, cioè azioni particolari o rituali che tentano di neutralizzare l’ossessione, come lo erano le mie giaculatorie. Per capirci, come Jack Nicholson nel film Qualcosa è cambiato.
E dopo qualche mese di terapia, davvero qualcosa è cambiato. Lo psicologo ha detto che probabilmente tornerà, stavolta magari sotto forma di ossessione per l’igiene e la pulizia. Ma quel che più conta è che ora ho gli strumenti per identificarla e non esserne più vittima. Con lui ho camminato fino all’origine del buio… E alla fine, è stato come uscire da una gabbia e ritrovare la luce e la speranza.