Qualche dubbio

Ho tanti dubbi su tante cose. . . a volte non riesco a vedere la presenza di Dio nel mondo che mi circonda nonostante che lo implori quotidianamente nelle mie preghiere. Qualche volta, ho come la sensazione di non vivere dentro di me l’amore di Dio, quando mi ritrovo a dubitare degli altri, perché faccio fatica a cogliere in loro la necessaria umiltà nei rapporti sociali e in particolare nel costruire insieme la comunità cristiana” Come psicologo cosa mi consiglia?. Gianni – Bari Per quanto riguarda il primo dubbio, quello della sensazione di assenza di Dio nel mondo, cito una frase di Viktor Frankl, lo psicologo ebreo che passò diversi anni in un lager nazista, che dice: Il dio vivente è sempre stato un dio nascosto. Non c’è da aspettarsi che risponda alle nostre chiamate.Tutti sanno che per misurare la profondità del mare è sufficiente inviare delle onde sonore e controllare il tempo di attesa per l’eco. Il fatto che non si riceve alcuna risposta è una prova che la richiesta ha raggiunto la sua destinazione: l’infinito. Il pensatore Spinoza, una volta, arrivò ad avere un pensiero tanto meraviglioso quanto sconvolgente, e cioè: Chi ama Dio davvero non deve pretendere che Dio a sua volta lo ami. Ovviamente l’amore di Dio c’è sempre anche quando si ha la sensazione del contrario, proprio come scriveva l’evangelista Giovanni nella sua prima lettera: Anche se il vostro cuore vi condanna, Dio è sempre più grande del vostro cuore. Ma la problematica del lettore verte però anche su un altro dubbio, quello dell’assenza dell’umiltà nella costruzione della sua comunità cristiana. Cosa dire a questo proposito? La prima cosa che mi viene in mente è la grande lezione psicologica che fece l’apostolo delle genti, Paolo di Tarso, ai membri delle prime comunità cristiane da lui fondate. Una vera e propria lezione di psicologia comportamentale tutta incentrata sul piano dell’esperienza quotidiana, come quella: di rivestirsi di umiltà nei rapporti reciproci (Col 3,12), di stimare gli altri, con tutta umiltà, superiori a sé stessi (Fil 2,3), di non cercare cose alte, ma piegarsi a cose umili (Rom 12,16): perché solo così può avvenire l’edificazione comunitaria, che è sempre condivisione delle debolezze e delle povertà di ciascuno. Solo così si capisce che la vera umiltà è anzitutto umiliazione, nel senso che non si tratta di acquisire una virtù bensì di subire un abbassamento. Umiliazione che può venire dagli altri, soprattutto dai più vicini come i parenti, ma anche da semplici conoscenti; umiliazione che può venire dalla comunità di cui facciamo parte ma anche dalla società in generale che ci contraddice e ci sconfigge. Più che mai l’umiliazione è luogo per conoscere sé stessi in verità e imparare l’obbedienza, come ricorda sempre la lezione psicologica paolina quando dice che Gesù imparò l’obbedienza dalle cose che patì (Eb 5,8), e tra queste l’infamia e la vergogna (Eb 12,2; 13,13). Le stesse cose che visse con bambinesca spensieratezza un giorno il figlio di una mia paziente, e spesso mi ritrovo a pensarci ogni volta che sono deluso della mia posizione nella vita. Questo bambino di sei anni faceva le prove di una parte nella recita della scuola. Sua madre mi raccontò che ci teneva tantissimo a parteciparvi, ma lei temeva che non sarebbe stato scelto. Il giorno in cui si annunciavano le parti, la madre andò a prenderlo dopo la scuola. Il bambino le corse incontro con gli occhi che gli brillavano di gioia, ma soprattutto per l’orgoglio e l’emozione. Indovina, mamma urlò; e poi disse quelle parole che rimangono per me una lezione: Sono stato scelto per applaudire.

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