Putin e Khamenei, in attesa delle due vendette

Se Putin “deve” prendere la rivincita per l'attacco a Kursk, Khamenei ha da mostrare che non si uccide un capo politico come Hanyeh impunemente. La diplomazia lavora alacremente
Putin riceve il premier cinese Li Qiang al Cremlino, 21 Agosto 2024. Ansa EPA/ALEXEI FILLIPOV / SPUTNIK / KREMLIN POOL MANDATORY CREDIT

Forse ci si aspettavano reazioni a caldo alle offese politiche militari che hanno contraddistinto le ultime settimane internazionali. Quella dell’uccisione il 31 luglio del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, addirittura in casa del nemico, a Teheran, non si sa bene ancora con che modalità, missile, drone o bomba o chissà. Chi si aspettava una reazione immediata e “scoppiettante”, come quella che l’Iran aveva messo in opera tra la sera di sabato 13 e la notte di domenica 14 aprile 2024, come rappresaglia per il bombardamento del consolato dell’Iran a Damasco avvenuto a inizio mese, sarà rimasto deluso. Ci si interroga ancora sulle modalità che il regime degli ayatollah sceglierà per maturare la propria vendetta.

L’altra vendetta è quella di Vladimir Putin che, ovviamente, vorrà in qualche modo cancellare la vergogna della pur minima inversione del suo territorio da parte delle truppe di Kiev, che sono penetrate per alcune decine di chilometri nella regione frontaliera di Kursk. Anche in questo caso, chi si attendeva un’immediata risposta di Mosca è rimasto deluso, anche perché il capo del Cremlino appare ermetico nelle sue reazioni.

Ovviamente, solo qualche grande esperto di relazioni internazionali – o un veggente, piuttosto – può immaginare realisticamente quali saranno le risposte dell’Iran e della Russia alle provocazioni partite dai campi a loro avversi. Ma egualmente qualche riflessione può essere fatta, e non sono tutte di segno negativo. C’è innanzitutto da notare come il ritardo nelle reazioni sia probabilmente dovuta all’opera di dissuasione morale interna ai due Paesi. Se, infatti, il nuovo presidente iraniano Massoud Pezeshkian sembra aver svolto opera di mediazione nel dilazionamento della vendetta – non nella sua eliminazione –, anche nell’ambito ristretto del Cremlino c’è chi comincia a dar segni di riflessione, sia per il perdurare della guerra in Ucraina, sia per le misure di embargo che stanno provocando non pochi problemi alla popolazione russa, in particolare a quella classe media che è il primo e principale sostegno della politica putiniana.

Ma la dissuasione viene anche dall’esterno, dalla diplomazia sia occidentale che orientale, conscia che una guerra generalizzata sarebbe una via senza ritorno. Certamente, le diplomazie tengono conto in qualche modo delle manovre militari che vengono messe in atto in particolare degli Stati Uniti, ma le ultime vicende sembrano evidenziare come siano stati riattivati non pochi canali di contatto tra le parti in conflitto, sia sullo scacchiere mediorientale che su quello ucraino. Non si può certo esultare prematuramente, ma non si può negare che la diplomazia sia tornata a galla dopo alcuni anni di azione con la sordina. Forse il tramonto di Biden non è cosa di poco conto: le sue ultime energie, Joe le sta spendendo per non rimanere nella storia come il presidente della catastrofe mondiale. Nello stesso tempo non si può sottacere il lavoro egregio del segretario di Stato Usa, Blinken, che sembra voler diventare il campione della moderazione. Il suo vero banco di prova sarà l’accordo possibile per la Striscia di Gaza.

In questa stessa direzione, non va sottovalutata l’opera diplomatica dell’altro grande mondiale, la Cina, che da sempre vede con scarsa simpatia l’aumento delle tensioni militari, in qualsiasi parte del globo avvengano (Taiwan a parte), in particolare per la propria politica commerciale di conquista incruenta del mondo. Si dirà che siamo sempre in una logica imperialista, il che è verissimo, ma sta di fatto che Pechino sta operando per un allentamento della tensione internazionale.

Non si tratta di peccare di ingenuità: il calcolo di Mosca e Teheran nella dilazione della vendetta può essere dovuto a un puro ragionamento cinico. Da una parte il Cremlino sta conquistando metro dopo metro nel Donbass, lentamente ma sicuramente, e forse la vera risposta consisterà in un’annessione anche formale dell’intera zona contesa. E, dall’altra, l’affermazione di un ufficiale di Teheran, che cioè lasciare in sospeso la reazione è già una condanna per Israele, non è poi così lontana dalla realtà: l’esasperazione della popolazione israeliana che non ne può più delle guerre di che continuano ormai dal 1948, si traduce in un vero e proprio incubo sicuritario. E può darsi che queste note, già domani si rivelino obsolete, perché Mosca o Teheran avranno colpito da qualche parte in qualche modo. E tuttavia è lecito sperare che la ragione abbia il sopravvento sull’avventurismo bellico.

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