Punk duro ma dolce
Immaginate un punk con la testa rasata, gli spilloni da balia nelle orecchie e una cresta color rosso fuoco che offre un piatto caldo a dei poveri in Brasile. O ancora provate a pensare ad un perfetto mod con gli abiti neri firmati, gli occhiali scuri, i capelli gelatinati e una moto milionaria che offre il suo servizio ad un bimbo africano. Sembra una provocazione ed invece è quello che sta facendo Emanuele Barbati, un giovane produttore discografico di Taranto. Ha 23 anni, gli occhi svegli e la determinazione dei ragazzi del sud che hanno un sogno urgente da realizzare. Il suo è di quelli capaci di far desistere anche il più cocciuto degli idealisti: far parlare la lingua dolce della solidarietà alle musiche più dure e ribelli. Per questo ha fondato la Eska records, una etichetta indipendente, una piccola utilitaria che prova a sfidare le corazzate mondiali del rock. “Volevo dare una possibilità in più ad alcuni gruppi, uno strumento per far sentire a quanta più gente possibile le proprie idee, visto che ormai i grandi canali musicali propongono sempre e solo le solite band”, spiega Emanuele. Quando si è trattato di scegliere quale genere musicale promuovere con la sua azienda, non ha avuto dubbi. “Da quando ero adolescente e i Green Day davano la carica alle mie giornate – racconta – ho sempre ascoltato il punk rock, dopo ho iniziato a interessarmi allo ska. Questi due generi sono spesso associati a gruppi anarchici e sono molto in auge nella sinistra giovanile e nei centri sociali. Ma in fondo questi suoni nascondono i valori che mi hanno sempre affascinato: l’uguaglianza e l’antirazzismo, la protesta e la voglia di cambiare. L’importante è saper esprimere nel modo giusto questi concetti”. Per prima cosa Emanuele ha contattato le formazioni della scena italiana più famose. Poi ha coinvolto anche quelle meno celebri per creare un’unica compilation, un solo cd per 28 gruppi nel quale chi ha un nome traina chi cerca di emergere. Sono state stampate duemila copie. Un primo passo, ma nel cantiere di idee tarantino, i progetti si susseguono. In programma c’è già uno split (ovvero la condivisione di un unico cd tra due gruppi ska) e poi altre produzioni per l’autunno. Non si tratta di un progetto di nicchia. Una grossa azienda di distribuzione italiana ha voluto in esclusiva la vendita del cd che presto sarà in tutti i negozi dello Stivale. Un grande risultato per un piccolo produttore. Ma nulla al confronto di quello che è stato raggiunto coniugando i suoni della protesta e l’aiuto al prossimo. “Mentre mettevamo a punto il disco – ricorda Emanuele – sentivo sul collo il respiro di tutta quella gente che non ha da mangiare e che forse la musica neanche la conosce. Io che nuotavo nel mio brodo di giuggiole dovevo far qualcosa. Ero spinto a farlo anche dall’impegno che da sempre ho preso a vivere pensando alle necessità del mio prossimo. Ho avuto un’idea fulminante. Dovevo accostare la mia passione per la musica alla mia voglia di dare speranza a chi non ce l’ha”. Detto, fatto. Il fondatore della Eska Records vive la spiritualità dell’unità, segue da vicino i progetti dell’Amu, la Ong dei Focolari. Il passo è stato breve. “Ho deciso – continua – che parte del ricavato della vendita della compilation andava devoluta all’Amu per un progetto che mira ad abbattere la mortalità infantile in alcuni paesi dell’Africa. L’ho voluto scrivere anche sulla copertina del cd. All’interno del libretto del disco ho inserito una foto di una cinquantina di bambini africani che sotto un enorme albero hanno trovato la loro scuola. E sotto ho scritto: “Dedicato a tutti i bambini figli di ogni popolo oppresso con la speranza che possano essere nei loro paesi uomini portatori di indipendenza giustizia e pace”. Il rock non disdegna di impegnarsi per grandi temi. Ma nel mondo del punk e dello ska tutto questo suona bizzarro. Senza contare che per le etichette più piccole è già difficile far quadrare i conti, figuriamoci se è possibile fare beneficenza. “All’inizio – conclude orgoglioso Emanuele -, avevo intenzione di non dire a nessuno di questo mio progetto perché non volevo che diventasse un’ostentazione di buonismo. Poi, parlando con alcuni dei musicisti coinvolti, ho notato il loro entusiasmo e molti dei gruppi hanno voluto che l’iniziativa fosse resa pubblica. E così è stato. Molti credono che questo tipo di musica abbia dei riferimenti troppo estremistici. Invece è stato bello notare come il “fare il bene” alla fine è uguale per tutti”.