Punire i delitti Premiare le virtù
Una delle prime importanti novità del 2007 è la proposta del governo italiano, ora membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, di farsi capofila di un’azione tesa a rilanciare nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il tema della moratoria universale della pena di morte. La storia italiana offre una solida base a sostegno di questa bella proposta. Nel lontano 1786, infatti, nel Granducato di Toscana, Pietro Leopoldo decretò per primo l’abolizione totale della pena di morte poiché, scrisse, tali cose si addicono solo ai popoli barbari. L’atto di Pietro Leopoldo non nacque dal nulla, ma fu un approdo di un movimento culturale, di cui il celebre libro del milanese Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, del 1764, rappresentò un momento alto. In quel libro, che è uno dei capolavori dell’Illuminismo italiano, si condannavano la pena di morte e la tortura: Parmi un assurdo – scriveva Beccaria – che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio. Legato a questo importante libro c’è un secondo episodio luminoso della nostra storia civile. Un anno dopo la pubblicazione dei Dei delitti e delle pene, il napoletano Giacinto Dragonetti, discepolo di Genovesi, pubblicò il suo meno noto, ma non meno importante, libro Delle virtù e dei premi, a ricordare, già nello stesso titolo, che perché una società sia davvero civile non sono sufficienti le pur necessarie giuste pene per punire i delitti, ma occorrono anche leggi per premiare le virtù. Ed esclamava: Gli uomini hanno fatto milioni di leggi per punire i delitti, e non ne hanno stabilita pur una per premiare le virtù. Questa intuizione di Dragonetti non mi sembra meno attuale e rilevante (anche per la sua Napoli di oggi) delle tesi di Beccaria: per una buona società abbiamo certamente bisogno di combattere le ingiuste pene, ma anche di disegnare leggi che non trattino tutti i cittadini come potenziali delinquenti, ma che siano pensate per premiare chi pratica le virtù civili, e così facilitare la loro diffusione e imitazione. Altrimenti i governi, concludeva Dragonetti, mancando alle virtù la dovuta ricompensa, farebbero il bene dell’infingardo, e la distruzione del virtuoso. Una tesi che a distanza di duecentoquarant’anni conserva ancora tutta la sua forza profetica.