Puglia: gli eroi in mascherina (o quasi)

Due infermiere baresi raccontano la loro esperienza in prima linea contro il coronavirus

In Puglia il picco del Covid-19 è previsto per fine marzo e il presidente della regione Michele Emiliano, nell’ultima conferenza stampa in video, dopo il consueto bollettino giornaliero di contagiati e decessi (oltre 300 i casi), in previsione di altre persone provenienti (sono 30 mila i cittadini autocertificati provenienti dalle regioni del nord, ma il numero potrebbe arrivare a 100 mila ritorni in terra pugliese) ha delineato il piano per provare a fronteggiare contagi e ondata. Intanto il reparto Asclepios del Policlinico di Bari è stato organizzato esclusivamente per i pazienti con sintomi coronavirus.

Dopo il decreto Cura Italia emanato dal Governo, Emiliano ha confermato l’operatività di nove ospedali dislocati nel territorio regionale in previsione dei 2 mila contagi. Questo è il numero limite con cui il sistema ospedaliero pugliese può affrontare l’emergenza Covid-19.  Attualmente sono 1700 posti letti, perciò è urgente provvedere a crearne altri. Inoltre Emiliano fa sapere che sono in arrivo oltre 200 ventilatori e monitor che si aggiungeranno ai 500 utili per le cure, oltre ad aver richiesto alla Protezione Civile dei dispositivi anti-contagio come guanti e mascherine.

I contagi tra il personale medico sono in aumento perché mancano proprio i dispositivi anti contagio. La preoccupazione, quindi, è quella di limitare i contagi in corsia, lì dove, stanno operando, a nome di tutta la nazione, i veri eroi di queste giornate complicatissime.

Proprio dalle corsie e dai reparti in cui lavorano, anche in quelli in cui non si fronteggiano direttamente i casi di corona virus, gli infermieri sono sobbarcati, insieme ai medici e allo staff sanitario, di stress, di responsabilità, di notevole spirito di sacrificio. «È surreale il silenzio delle città ed è surreale ciò che stiamo vivendo negli ospedali – afferma S., infermiera che lavora all’ospedale Di Venere di Bari –, sembra di bucare uno schermo televisivo ed entrare in un telefilm, l’aria è molto tesa. Se prima si provava a mantenere un clima anche scherzoso e armonioso in corsia, adesso siamo tutti tesi, bombardati non solo dalla tv, ma da tutto quello che ci circonda».

La giovane infermiera, che di solito è impegnata nei reparti di terapia intensiva cardiologica e di rianimazione descrive la paura che affronta quotidianamente: «Siamo consapevoli che non possiamo rimanere in quarantena, siamo consapevoli che anche se avessimo davanti un infetto non sapremmo riconoscerlo. Questo che ci fa paura: il fatto di non sapere e quindi di portare inconsapevolmente il virus a casa».

Pur non lavorando nei reparti dedicati al Covid-19, S. è preoccupata perché i pazienti che incontra potrebbero essere infettati per il semplice fatto di essere ricoverati lì e quindi predisposti a contatti: «Gli infettati non sono riconoscibili, per cui il paziente pronto per la sua quotidiana terapia è messo a rischio».  E continua: «Combatti contro la tua stessa paura perché sai che sei lì per curarlo. Mi sento abbastanza forte da combattere l’eventuale infezione. Quando entro in ospedale indosso la mia mascherina, la mia cuffia, il mio camice monouso e prego di non incontrare nessun infettato, non tanto per me, ma ho paura ovviamente per i miei cari».

Come in molte strutture ospedaliere incominciano a mancare le mascherine che medici e infermieri devono centellinare. S. dice: «Veniamo forniti di una mascherina al giorno, ma sono solo mascherine chirurgiche e sappiamo bene che hanno una protezione contro il virus piuttosto blanda, dal momento che noi siamo esposti a carica virale molto alta, oltre alle cariche batteriche di altre patologie come tubercolosi, meningiti e altre».

Forse anche per tali condizioni queste persone devono definirsi eroi; l’infermiera barese continua a raccontare: «Ci si arrangia come si può. Una collega ci ha gentilmente confezionato delle mascherine in cotone che utilizziamo sotto le mascherine chirurgiche per avere almeno la sensazione di freschezza in volto e isolarti anche se poco da quel tessuto che prude e, lo ammetto, anche per lasciarmi illuder della maggior sicurezza che una doppia mascherina potrebbe darci».

I controlli anche se rigorosi, contribuiscono a trasmettere un evidente clima di tensione con i militari a presidiare la tenda del pre-triage tra i pazienti in fila in attesa del tampone o semplicemente osservando i medici che indossano la tuta anticontaminazione.

Come S., anche C. affronta l’emergenza coronavirus limitando la paura. C. lavora in ambulatorio al Policlinico di Bari e vive la situazione dietro le quinte, anche perché le somministrazioni ai pazienti sono diminuite. Questo potrebbe limitare casi di contagio, ma come dice l’infermiera, mamma di due figli: «La paura di contrarre il coronavirus sale perché, essendo inizialmente asintomatico, non permette di riconoscere in quali condizioni arrivano i pazienti per le cure». C. riesce a gestire con grande forza d’animo e raziocinio questo periodo e questo può essere un fattore utile per molti suoi colleghi che, ricorda, «operando servizio nei diversi reparti sono un po’ spaventati in quanto non conoscono chi arriva dal Pronto Soccorso».

Il timore del contagio aumenta anche durante l’attesa del risultato dopo aver effettuato il tampone.  A tal proposito C. dice: «Il tempo di coltura del virus è lungo. Prima di conoscere il risultato possono passare molte ore, anche una notte. E forse a destare maggior preoccupazione è questa attesa». C. ricorda che nel reparto neurologia sono stati effettuati due tamponi con risultati fortunatamente negativi.

Si può ben dire che questi eroi vivono questa tragica quotidianità consapevoli della paura. Proprio questo li rende ancor più eroici. Sono eroi con famiglia e figli che lasciano per tantissime ore della giornata, causa turni di lavoro lunghissimi, a casa per combattere questa battaglia contro il virus in ospedale. In molti casi sono eroi senza maschera, accentuando così il pericolo. C. lo ricorda: «I dispositivi ne abbiamo avuti pochi per usarli in caso di necessità, restiamo comunque coperti con mascherine chirurgiche e guanti».

Eroi sì, ma pur sempre esseri umani…

 

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