Pubblicità Amica?
Pubblichiamo un contributo più ampio di Raffaele Cardarelli, pubblicitario, sull'uso del corpo nella comunicazione.
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"Il principe giunse quindi dove giaceva la principessa Aurora, la baciò delicatamente…. la principessa si destò, sorrise a Filippo e tutta la stanza si illuminò. Tutta la corte si destò e davanti agli occhi compiaciuti di re Stefano, della regina e di re Umberto, Filippo e Aurora cominciarono a danzare… e vissero da quel giorno felici e contenti!".
Quanti, bambini e bambine, hanno ascoltato e sognato la favola della Bella Addormentata nel Bosco?
Eppure, pensandoci bene, la favola parla di una principessa di bellezza e fisico inarrivabili, con splendidi capelli, sempre in ordine, che non si è mai occupata (e mai si occuperà) di faccende domestiche o di lavorare… E il principe azzurro? Bello e impossibile (per chi non è almeno una principessa), il suo unico problema è come impegnare la giornata (andare a cavallo? comprare un altro castello?) quando non deve dare ordini alla servitù.
Quante ragazze hanno cercato, invano, il loro principe azzurro?
Quanti psico-sociologi hanno analizzato il "pessimo" esempio offerto dalla principessa Aurora e dal principe Filippo nei confronti delle nuove generazioni che si devono preparare alla vita?
Secondo me, la pubblicità ha molto in comune con le favole. L’essere umano tende naturalmente all’infinito/alla perfezione e l’efficacia del messaggio pubblicitario poggia sulla capacità di interpretare i valori, le emozioni, che sono il vero "pannello di comando" dei nostri comportamenti (e-motion).
A tale scopo, il pubblicitario (ma non solo il pubblicitario) si serve di simboli, icone, che possano rappresentare correttamente queste aspirazioni.
Come gli antichi "dei", generati dalla fantasia umana, i moderni "divi/dive" (o testimonial) sono la sintesi più efficace per "intercettare" le nostre emozioni e (anche) guidare il nostro portafoglio, interpretando i tradizionali codici della comunicazione che abbiamo ereditato dal mondo greco (bellezza=bontà), dove il buono/bello vince sempre sul brutto/cattivo.
La pubblicità – come e forse più di altre forme di comunicazione – ha una forte responsabilità nell’indirizzare gli stili di vita, soprattutto quelli dei giovani. Ma, se da una parte, il "modello/divo" può farci "tendere" verso un miglioramento dei nostri stili di vita ("mi vesto meglio…do il meglio di me…), dall’altra può far emergere un forte senso di inadeguatezza o frustrazione ("non sarò mai come lei/lui"), con pesanti ripercussioni sugli stili di vita, (anoressia o distorte relazioni con l’altro sesso).
Stigmatizzare questi effetti nocivi con articoli/documentari che parlano alla ragione, può rafforzare le convinzioni di chi ha già aderito a tali posizioni o instillare qualche dubbio, ma difficilmente porterà all’ "azione" (cambiamento del valore/comportamento).Questo perchè le tipologie di comunicazione (negative), potenziate dalla bellezza, intrinseca o indotta da un abbigliamento "creativo", saranno sempre più efficaci (" le coeur a ses raisons che la raison ne connait pas" – Pascal).
A mio avviso, parlare esclusivamente alla ragione con i codici razionali è velleitario, anche perchè i "testimonial", buoni e cattivi, sono ovunque (star del cinema, calciatori, presentatori…) e infiniti, se non opinabili, sono i possibili "ambiti di censura" (mercificazione del corpo femminile, fedeltà coniugale, fede…) . Nell’ultimo numero di Città Nuova, Mario del Bello parla della "riabilitazione" della figura del Caravaggio – bollato come "pittore maledetto" e "cattivo cattolico" – a 400 anni dalla sua morte.
Benedetta sia la bellezza, ogni volta che trasmetterà, grazie all’opera di "comunicatori nuovi", sentimenti di bontà, di amore o anche di solo romanticismo e suscitare emozioni in questa società malata di materialismo ed indifferenza. Speriamo di riuscirci in meno di 400 anni…